E' con grito di meravigliosa maraviglia non che furente trasporto bacchico e apollineo che vi annunciamo senza neppure troppa sorpresa e sapendo di farvi cosa gradita giacché so che alla sola idea la vostra destilizzata vescica prorupperà in copioso umore per la troppa gioja e insomma vi piscerete addosso dal contento lo so bene e non credo sia una cosa fisiologicamente ultronea che voi lo facciate perché questi numeri possono darvi alla testa e non siete abituati a dessi come noi siamo abituati a loro e insomma volevo dirvi magno cum gaudio che oggi si sono raggiunti ipso facto i de cujus 8 miliardi di contatti da questo e quell'altro mondo, e che la Divina Pasta, seppure latitante (ma che latitante!!!) ha cantato uno sticatissimo passaggio Do1-Sol12 cosa che non le capitava da quando per stuzzicare quell'anima pia di Bruttini si fece riscrivere la cavatina celebrissima dalla Legge di Bruttini in La bemolle minore con grande deliquio degli orchestrali dell'Ascensore allora abituati alla più frequente tonalitade di si diesis e un quarto. Ma transeat, sono storie avulse da ogni contesto umano e ben lontane dalle vostre illecebri e standizzate menti.
Onde festeggiare, semmai ve ne fosse bisogno, ecco a voi, per il vostro certo gaudio e certi che ci ringrazierete ponendo tumuli di rose e verbene alle nostre stiizzatissime piante, ecco una disanima di alcune incisioni della celebrissima cantata, ma che dico cantata, vera cantata stilizzata per vere stilizzata, la Giovannona Coscialunga del paracelsico Roffini.
Cantata che davvero non può che essere appannaggio di un'artista che canti con tutti i clismi, nonché crismi, nonché microclismi del VCS, della STICA, capace di CA.STA DI.VA ecc. ecc. e quindi nemica d'ogni Standa, LSD e quindi poco attraente per l'attuale temperie orecchiomerdista che quasi quasi lasceremmo divampare in tutto il suo furore giacché come disse il nume Gabbietti "e deletione imperium bonae stilefactionis renaturumst" e così eccovi alcuni ascolti e successivo mio vaticinio inconfutabile poiché inconfutando circa la sua esecuzione.
1) Mariolina Corno, pianista Martino Nerch: un monumento di Stica, non potrei aggiungere altro. Giovannona è Mariolina, Mariolina è Giovannona, in un abbraccio mistico, sinolo di burro e sugna, triplice congiunzione di alta stilizzazione e apertura vocale senza pari. Nerch gliela suona, a Mariolina, questa cantata, come d'autunno si suonano le foglie cioè con dolce nenia fruscicante e stormire di uccelli fra i rovi.
2) Licia Rudolfi-Cielini, pianista non pervenuto: una Giovannona che non sembra aver mai attaccato il prosciutto al gancio. Bella voce non c'è che dire, ma latita lo stile che sempre pare drudeggiare con forme pericolosamente scolacciate e ochieggianti (ma non ancheggianti, in quello è maestra la Corno) verso il VCM più infido, detto VCMADFS (Vero canto di merda ammantato di falsa stilizzatezza).
3) Calcutta Granmaschia, con orchestra diretta dal Maestro Parlanti: una Giovannona dalla coscia breve ma invero molto stilizzata. Altro non saprei che aggiungere se non ad avercene oggi giorno.
4) Francine De La Fosse. AMEN. E non aggiungo altro che altro sarebbe bestemmia del Vero.
5) Sandaniela Madrid. Il nome è degno d'un prosciutto e tale è la coscia di questa Giovannona ben poco stilizzata. Anzi: non riesco a capacitarmi di come l'orecchiomerdismo imperante che pur sa bearsi di ben altre emule della Grantrota.
6) Fagiolia Sbattoli... Esci da quel delizioso corpuscolo!!! Perché sì la Fagiolia è appetibile, non quanto la Northerland s'intende (e intender non può chi non la prova).
Ecco... Aspetto vostre grazie complurime, e complurimmente vi saluto con ossequi, vostro colendissimo Donzelletta.
Ps: nella foto per festeggiarvi ecco la sublime Francine in camerino prima del noto concerto di Roncalceci.
domenica 29 novembre 2009
venerdì 2 ottobre 2009
L'Urlo silente (1750ca), ossia De principio malorum
Poiché ci sembra cosa asssai giusta mettere in guardia i nostri lettori dall’errore più comunamente diffuso e fatale nel quale incappano a causa della loro DRC (diarrea retroflessa del coclide, volgarmente orecchiomerdismo), ci duole scrivere anche di quegli abomini che hanno costellato la storia del canto e dell’umanità nella sua lunga, ed o quanto mai insidiosa, strada verso la riunificazione con il VCS e la SS.
Vi fu in un tempo remoto, età dell’oro del genere umano, in cui il VCS regnava sovrano in ogni teatro e, cosa che desta ancor più maraviglia, in ogni privata dimora. Le fanciulle si facevano incastrare, i fanciulli evirati o virati gorgheggiavano da mane a sera, persino gli avi trovavano, accanto al focolare, il tempo e il gusto d’intonare ardite e volubili frottolle e pinzillacchere di sublime effetto, specie nelle dolci ore di compieta. Dal cielo cascava pioggia d’idromele, dalla terra spuntavano zolle d’oro pretioso. Le pareti erano d’alabastro e le tende di porpora. Su tutti, concordi in piena e santa letizia, aleggiava l’afflato dolcissimo del Vero Canto Stilizzato, le cui sacre leggi erano custodite nel tempio avito della Stica, sovra un colle aprico sempre arieggiato e i cui dolci effluvi molcevano il cuore, là, di fronte alla tomba della Grandonnona, nello spazio intersidereo delle Porte Sacre in giuso il colle ove s’erge maestoso il centro benessere San Miniato.
Ma un dì – oh! Giorno infausto all’umana stirpe – il veleno del male scelse, come l’umore d’un aspide inferocito, di spandersi in gran copia tra le vene dell’universo mondo. Proprio nella grande città di Fiesole, che su Fiorenza comanda, nel suo teatro una volta sì bel, si decise di mettere in scena un’orrida rappresentazione infesta, che venne chiamata film, sigla degenerante da cui sommi studiosi (tra i quali io stesso) hanno estratto l’acronimo Falsismo Illumina Lo Mondo, e questa terribile visione di marcescente disvalore artistico, priva d’ogni CA.STA D.I.V.A., ebbe titolo “L’Urlo silente”. L’autore, innominabile (tolga Iddio!), sferra ancora numerosi attacchi biliosi, qualche sera d’autunno, attorno all’avello sacro e benedetto della divina Grandonnona, che allora, in quel 1750ca pieno di luce, in cui i fiorenzini, ignari della catastrofe che gravava sul lor capo, si recavano giocondi e gai a premiarla, con plausi di gloria, offeriva i suoi pretiosi involi alla Rigida d’Azzurri, che quasi pareva esser stata scritta per lei sola.
Ma dopo la prima recita ecco che, al mattino, su una gazzetta locale nomata “Oracoliere” comparve l’annuncio dell’obbrobrio imminente... Dice l’orrendo frontespizio: “Stasera, presso il Gran Teatro di Fiesole, a’ diletto delle vostre anime perverse, la Grantrota rappresenterà un’opera nova, nomata l’Urlo silente. I posti a sedere sono locabili presso Giannetta alle Cascine”.
Ed ecco i fiorenzini correre goduriosi in quella landa di perdizione a trovar Giannetta, la quale lasciva vende a loro gran copia di cartule onde poter sedere nel vasto teatro di Fiesole. Ed ecco i fiorenzini salir la china che monta al piano, ed ecco tremare, a distanza, la sacra fiamma del sacerrimo sacello alle Porte Sacre. La Stica freme, la Stica infiamma! E cominciano a sentirsi le dolenti note spargentisi per l’aere in tuon di morte: la Grantrota intona l’aria del Silenzio, e questo Silenzio diventa un urlo uterino, strazievole, che permea l’aere di sterco, e i venti mefitici gonfiano, sorgono, impazzano e fuggono per ogni calle. Le ancelle votate al culto della Stica escono affrante dal sacro loco, le loro stilizzatissime note s’alzano indarno contro quest’ondata di lussoriosa melma che intride lo mezzo. Cantano le ancelle, ed ecco giungere la Divina Pasta, la Benibran, Cleptini, la Farinellona e quanti possano far scudo, con la loro pratica del VCS, a tanto atro prodigio.
A nulla valse, ahinoi, giacché il male vinse quella pugna. Il sacello fu svelto dalla valle degli avelli, vi s’accrebbe un cratere increscioso sul crinale. E il VCM scese tra noi. Ma una pugna non fa la guerra! E guerra sia sempre a codesto nemico del bene!
Vi fu in un tempo remoto, età dell’oro del genere umano, in cui il VCS regnava sovrano in ogni teatro e, cosa che desta ancor più maraviglia, in ogni privata dimora. Le fanciulle si facevano incastrare, i fanciulli evirati o virati gorgheggiavano da mane a sera, persino gli avi trovavano, accanto al focolare, il tempo e il gusto d’intonare ardite e volubili frottolle e pinzillacchere di sublime effetto, specie nelle dolci ore di compieta. Dal cielo cascava pioggia d’idromele, dalla terra spuntavano zolle d’oro pretioso. Le pareti erano d’alabastro e le tende di porpora. Su tutti, concordi in piena e santa letizia, aleggiava l’afflato dolcissimo del Vero Canto Stilizzato, le cui sacre leggi erano custodite nel tempio avito della Stica, sovra un colle aprico sempre arieggiato e i cui dolci effluvi molcevano il cuore, là, di fronte alla tomba della Grandonnona, nello spazio intersidereo delle Porte Sacre in giuso il colle ove s’erge maestoso il centro benessere San Miniato.
Ma un dì – oh! Giorno infausto all’umana stirpe – il veleno del male scelse, come l’umore d’un aspide inferocito, di spandersi in gran copia tra le vene dell’universo mondo. Proprio nella grande città di Fiesole, che su Fiorenza comanda, nel suo teatro una volta sì bel, si decise di mettere in scena un’orrida rappresentazione infesta, che venne chiamata film, sigla degenerante da cui sommi studiosi (tra i quali io stesso) hanno estratto l’acronimo Falsismo Illumina Lo Mondo, e questa terribile visione di marcescente disvalore artistico, priva d’ogni CA.STA D.I.V.A., ebbe titolo “L’Urlo silente”. L’autore, innominabile (tolga Iddio!), sferra ancora numerosi attacchi biliosi, qualche sera d’autunno, attorno all’avello sacro e benedetto della divina Grandonnona, che allora, in quel 1750ca pieno di luce, in cui i fiorenzini, ignari della catastrofe che gravava sul lor capo, si recavano giocondi e gai a premiarla, con plausi di gloria, offeriva i suoi pretiosi involi alla Rigida d’Azzurri, che quasi pareva esser stata scritta per lei sola.
Ma dopo la prima recita ecco che, al mattino, su una gazzetta locale nomata “Oracoliere” comparve l’annuncio dell’obbrobrio imminente... Dice l’orrendo frontespizio: “Stasera, presso il Gran Teatro di Fiesole, a’ diletto delle vostre anime perverse, la Grantrota rappresenterà un’opera nova, nomata l’Urlo silente. I posti a sedere sono locabili presso Giannetta alle Cascine”.
Ed ecco i fiorenzini correre goduriosi in quella landa di perdizione a trovar Giannetta, la quale lasciva vende a loro gran copia di cartule onde poter sedere nel vasto teatro di Fiesole. Ed ecco i fiorenzini salir la china che monta al piano, ed ecco tremare, a distanza, la sacra fiamma del sacerrimo sacello alle Porte Sacre. La Stica freme, la Stica infiamma! E cominciano a sentirsi le dolenti note spargentisi per l’aere in tuon di morte: la Grantrota intona l’aria del Silenzio, e questo Silenzio diventa un urlo uterino, strazievole, che permea l’aere di sterco, e i venti mefitici gonfiano, sorgono, impazzano e fuggono per ogni calle. Le ancelle votate al culto della Stica escono affrante dal sacro loco, le loro stilizzatissime note s’alzano indarno contro quest’ondata di lussoriosa melma che intride lo mezzo. Cantano le ancelle, ed ecco giungere la Divina Pasta, la Benibran, Cleptini, la Farinellona e quanti possano far scudo, con la loro pratica del VCS, a tanto atro prodigio.
A nulla valse, ahinoi, giacché il male vinse quella pugna. Il sacello fu svelto dalla valle degli avelli, vi s’accrebbe un cratere increscioso sul crinale. E il VCM scese tra noi. Ma una pugna non fa la guerra! E guerra sia sempre a codesto nemico del bene!
Le illustrazioni, provenienti dalla purtroppo dispersa collezione del conte Semela Daigratie, raffigurano la prima pagina del numero suddetto dell'Oracoliere e una rarissima effigie della Grantrota nella Lucia di Ambipur di Petezetti. L'ignaro artista ha scritto, a lapis, la leggenda "La signora Grantota (sic!) nell'opera Lucia di Ambipur".
martedì 29 settembre 2009
Grandi interviste: Magdi Allamvero, ossia il falsismo stilizzato
“La voce di Magdi Allamvero è quanto, e non è poco, dia al falsismo il diritto di esistere. Senza di lei, della sua SS e la sua conosenza della Stica questo abietto repertorio meriterebbe di venir sepolto sotto un’uggiosa coltre di putredine”. Così il Gabbietti, un Gabbietti italiano, nel suo “Trattatato completo del VCS”, per i tipi della celeberrima e lesa Casa Oscura.
Ci siamo dunque recati in un bel pomeriggio di pioggia a casa della signora Allamvero, che ha raggiunto da poco l’età invidiabile di 17 anni e 6 mesi, 150 dei quali passati a servizio del VCS, applicato però ad una delle piaghe più purulente prodotte dalla LSD, e cioè il cosiddetto falsismo, corrente inaugurata nel 1750ca con il film muto “L’Urlo silente”, protagognosta la Grantrota e culminante nelle orride pantomime della Cavalleria Urbana e dei Bagiazzi, di due autori che la
decenza stessa c’impone di mai nominare su queste pagine, nemmeno previa disposizione di ghirlande d’aglio e bucrani apotropaici.
La signora Magdi Allamvero abita a Roma, in provincia di Sanpietro, ed è nata come tutti sanno a Mediolano, provincia d’Arcore, anch’essa inglobata nelal provincia di Sanpietro. Questa è un’intervista corale giacché hanno presenziato Donzelletta (GDL), Trombettini (TT), Del Praz (GDP) e pensate addirittura la divina Pasta (GP) in collegamento intrasidereo.
Ma bando alle ciance, e eccovi l’intervista:
GDL: Gentilissima signora Allamvero, Lei sa che il Gabbietti, sommo nume tutelare e ministro eletto alle cose del VCS nonché uomo, ma che dico, uomo, superuomo, ma che dico, superuomo, nume insomma, ha scritto di lei cose straordinarie quasi come se il falsismo fosse giustificato solo perché lei lo cantasse un giorno quasi a dimostrare che davvero è la LSD il vero male di tutto giacché se lei con il VCS ha vinto sul VCM cantando falsismo ciò significa che il VCS potesse trionfare anche sul VCM cantando il falsismo, noto crogiuoli di ABS e commessi della ‘Standa?
MA: Veramente non ho capito una parola della sua domanda, ma non importa, le risponderò ugualmente perché mi sta tanto simpatico... Senta, il Gabbietti non so chi fosse né comprendo tutto questo suo parlare per aforismi privi di qualsiasi consecutio temporum e poi ignoro cosa sia il falsismo. Nel canto c’è una sola tecnica, che si voglia cantare il 500 o il 3000. E io modestamente questa tecnica la nacqui, ecco tutto.
GDP: Signora lei sicuramente sa chi sono io, sono Gigì del Praz, noto musicologo cinetista...
MA: Spiacente non l’ho mai sentita nominare ma prosegua pure, caro...
GDP: Sicuramente le sarà sfuggito di mente, con tanti ricordi che Lei deve avere... Ecco le volevo chiedere questo: che influenza ha avuto sulla Sua carriera il fatto che lei abbia cantato la parte di Adriana nel Rocky il Copritore di Mistacca sotto la direzione di Mistacca stesso?
MA: Trovo la Sua domanda alquanto obsoleta, mi permetta. No, io vorrei raccontarle questo, di Mistacca, con il quale ho lavorato con grande piacere e chi mi fece l’onore di scegliere me per cantare la sua Adriana nel Rocky il Copritore, dopo che avevo deciso di allontanarmi dalle scene un dieci minuti onde completare una mano di bridge... Insomma il Mistacca mi chiama, e io riattacco.... Richiama, ma io non me la sento di riattaccare una seconda volta al Mistacca, e così accetto. Ma volevo raccontarvi questo che mi è successo l’altra notte: ho sognato il Mistacca che riattaccava con questa storia dell’Adriana, e scriveva ADRIANA su un leggio tutto nero, e la parola Adriana era lucente, una cosa bellissima, e così ho detto: devo ricantare l’Adriana. Così ho chiamato Silvestro Montone e ci siamo messi d’accordo per riprendere il Rocky in Ascensore. Spero ci sarete.
GP: Se non abbiamo di meglio da fare sì, cara signora. Cucù, mi vede nello specchio sul pianoforte, sono io, la DP, la Divina Pasta. Senta, signora Allamvero, voglio metterla alla prova perché questa storia di stilizzazione un po’ mi subodora, se mi permette il termine... Io, che ho cantato la Legge di Bruttini, la Che Bambola! dello stesso Bruttini e altri opere veramente stilizzate le vorrei chiedere in cosa consistesse l’applicazione del VCS al repertorio falsista... Sentiamo, Magdi, sentiamo e aspettiamo fiduciosi...
MA: Ma nel vibratino da vero appoggio, per Diana... Che scherzi mi fai, Giuditta cara! Dal dì che mi conosci mi fai ancora di questi tranelli?
GP: Bene, sei stata attenta, ora vado perché mi chiamano la Benibran e la Saporita Didadini a sorbire il té (e sorbire anche loro, di rimando).
GDL: Gentile Magdi...
MA: Mi chiami signora Allamvero, è più prudente... più per voi che per me!
GDL: Va bene, gentile signora Allamvero... A proposito, vorrei che mi parlasse del ruolo della Rigida di Azzurri che lei ha così divinamente illustrato e di cui esistono solo pochi frammenti, oltre naturalmente al famoso microchip inciso attorno al 1839 per la casa discografica Ukulele...
MA: Oh, la Rigida... Ma vorrei parlavi con più ardore della Piedin Lesbò d’Intinggini...
GDL: Ma parli un po’ di quel che vuole, a sto punto...
MA: Eh certo, mi dovrei pure fare dei problemi? Allora, la Piedin Lesbò d’Intinggini è un’opera favolosa. Ricordo ancora quando la facemmo con Borromeo Bruttibuddini a Roncalceci o meglio ancora con Scatenato Sabatingo in quel di Zevio, sa, nell’arena comunale... Che ricordi, ma chi ormai canta più così...
TT: Mi riservo un’ultima domanda, signora Allamvero, per poi lasciarla tornare al ripasso della Sua Adriana...
MA: Ma come osa, giovinotto, io l’Adriana gliela saprei cantare anche a rovescio... “chiaror suo al stanca colomba bianca una come...”, vede?
TT: Sì sì, appassionante... Ma ora le volevo chiedere questo, se mi consente... Signora Allamvero, un consiglio per queste giovani generazioni che hanno smarrito ogni cognizione del VCS...
MA: Ancora con questo VCS? Giovinotto, parli italiano, la prego. Ad ogni modo un consiglio per i giovani è questo: LA MISURA! Quella la dà una cultura vera o una natura... spontanea... La Favina Masalda, per esempio, faceva delle cose che erano una cosa divina, e tutto con la misura, come d’altronde ho sempre cantanto anch’io. La misura, sì, sì, quella sempre... Specie nel finale della Piedin Lesbo di cui le accennavo poc’anzi o nella Deodora del grande Gange.
Ma è ora di salutare la celeste Magdi, e di congedarci dai nostri astilizzati ancorché fedeli lettori!
GDL: Gentilissima signora Allamvero, Lei sa che il Gabbietti, sommo nume tutelare e ministro eletto alle cose del VCS nonché uomo, ma che dico, uomo, superuomo, ma che dico, superuomo, nume insomma, ha scritto di lei cose straordinarie quasi come se il falsismo fosse giustificato solo perché lei lo cantasse un giorno quasi a dimostrare che davvero è la LSD il vero male di tutto giacché se lei con il VCS ha vinto sul VCM cantando falsismo ciò significa che il VCS potesse trionfare anche sul VCM cantando il falsismo, noto crogiuoli di ABS e commessi della ‘Standa?
MA: Veramente non ho capito una parola della sua domanda, ma non importa, le risponderò ugualmente perché mi sta tanto simpatico... Senta, il Gabbietti non so chi fosse né comprendo tutto questo suo parlare per aforismi privi di qualsiasi consecutio temporum e poi ignoro cosa sia il falsismo. Nel canto c’è una sola tecnica, che si voglia cantare il 500 o il 3000. E io modestamente questa tecnica la nacqui, ecco tutto.
GDP: Signora lei sicuramente sa chi sono io, sono Gigì del Praz, noto musicologo cinetista...
MA: Spiacente non l’ho mai sentita nominare ma prosegua pure, caro...
GDP: Sicuramente le sarà sfuggito di mente, con tanti ricordi che Lei deve avere... Ecco le volevo chiedere questo: che influenza ha avuto sulla Sua carriera il fatto che lei abbia cantato la parte di Adriana nel Rocky il Copritore di Mistacca sotto la direzione di Mistacca stesso?
MA: Trovo la Sua domanda alquanto obsoleta, mi permetta. No, io vorrei raccontarle questo, di Mistacca, con il quale ho lavorato con grande piacere e chi mi fece l’onore di scegliere me per cantare la sua Adriana nel Rocky il Copritore, dopo che avevo deciso di allontanarmi dalle scene un dieci minuti onde completare una mano di bridge... Insomma il Mistacca mi chiama, e io riattacco.... Richiama, ma io non me la sento di riattaccare una seconda volta al Mistacca, e così accetto. Ma volevo raccontarvi questo che mi è successo l’altra notte: ho sognato il Mistacca che riattaccava con questa storia dell’Adriana, e scriveva ADRIANA su un leggio tutto nero, e la parola Adriana era lucente, una cosa bellissima, e così ho detto: devo ricantare l’Adriana. Così ho chiamato Silvestro Montone e ci siamo messi d’accordo per riprendere il Rocky in Ascensore. Spero ci sarete.
GP: Se non abbiamo di meglio da fare sì, cara signora. Cucù, mi vede nello specchio sul pianoforte, sono io, la DP, la Divina Pasta. Senta, signora Allamvero, voglio metterla alla prova perché questa storia di stilizzazione un po’ mi subodora, se mi permette il termine... Io, che ho cantato la Legge di Bruttini, la Che Bambola! dello stesso Bruttini e altri opere veramente stilizzate le vorrei chiedere in cosa consistesse l’applicazione del VCS al repertorio falsista... Sentiamo, Magdi, sentiamo e aspettiamo fiduciosi...
MA: Ma nel vibratino da vero appoggio, per Diana... Che scherzi mi fai, Giuditta cara! Dal dì che mi conosci mi fai ancora di questi tranelli?
GP: Bene, sei stata attenta, ora vado perché mi chiamano la Benibran e la Saporita Didadini a sorbire il té (e sorbire anche loro, di rimando).
GDL: Gentile Magdi...
MA: Mi chiami signora Allamvero, è più prudente... più per voi che per me!
GDL: Va bene, gentile signora Allamvero... A proposito, vorrei che mi parlasse del ruolo della Rigida di Azzurri che lei ha così divinamente illustrato e di cui esistono solo pochi frammenti, oltre naturalmente al famoso microchip inciso attorno al 1839 per la casa discografica Ukulele...
MA: Oh, la Rigida... Ma vorrei parlavi con più ardore della Piedin Lesbò d’Intinggini...
GDL: Ma parli un po’ di quel che vuole, a sto punto...
MA: Eh certo, mi dovrei pure fare dei problemi? Allora, la Piedin Lesbò d’Intinggini è un’opera favolosa. Ricordo ancora quando la facemmo con Borromeo Bruttibuddini a Roncalceci o meglio ancora con Scatenato Sabatingo in quel di Zevio, sa, nell’arena comunale... Che ricordi, ma chi ormai canta più così...
TT: Mi riservo un’ultima domanda, signora Allamvero, per poi lasciarla tornare al ripasso della Sua Adriana...
MA: Ma come osa, giovinotto, io l’Adriana gliela saprei cantare anche a rovescio... “chiaror suo al stanca colomba bianca una come...”, vede?
TT: Sì sì, appassionante... Ma ora le volevo chiedere questo, se mi consente... Signora Allamvero, un consiglio per queste giovani generazioni che hanno smarrito ogni cognizione del VCS...
MA: Ancora con questo VCS? Giovinotto, parli italiano, la prego. Ad ogni modo un consiglio per i giovani è questo: LA MISURA! Quella la dà una cultura vera o una natura... spontanea... La Favina Masalda, per esempio, faceva delle cose che erano una cosa divina, e tutto con la misura, come d’altronde ho sempre cantanto anch’io. La misura, sì, sì, quella sempre... Specie nel finale della Piedin Lesbo di cui le accennavo poc’anzi o nella Deodora del grande Gange.
Ma è ora di salutare la celeste Magdi, e di congedarci dai nostri astilizzati ancorché fedeli lettori!
lunedì 28 settembre 2009
Piccolo glossario stilizzato
Dato che non confidiamo molto nella capacità apprenditoriale dei nostri lettori, e sperando di fare cosa gradita ai più e graditissima ai meno (che poi sono sempre i meno quelli che valgono di più, almeno così diceva il Gabbietti e se lo diceva lui così era), ho raccolto l'invito del nostro labronico critico Elenio Herrera a stilare un piccolo glossario per facilitare la vostra sempre fallosa stilizzazione. Per gli opportuni ringraziamenti potete lasciare un messaggio. Anzi, dovete. E soprattutto studiate perché non torneremo a spiegarvi queste banali ovvietà.
1) Delle SIGLE
1-a) Delle Sigle al bene rivolte
V.C.S.: Vero Canto Stilizzato
S.S.: Somma stilizzazione
A.D.S.L.: Assoluta e Divina stilizzazione lasciva (finora questo chrismon è stato affibbiato solo alla divina Pasta, anche se la Francine vi ha ambito e vi ambisce ancora, nell'ambito del VCS più spinto).
STI.CA: La Stilizzazione Canonica
CA.STA D.I.V.A.: Canto Statuario Dall'Inverosimile Valore Artistico (cfr. Coppiera Stimazzi)
S.ONT.U.O.SO: Suono ONTologicamente Unico (e) Oquantomai Sorprendente
1-b) Delle Sigle al male prone
V.C.M: Vero canto (di) merda
LSD: La Stilizzazione Devastanda, altrimenti detta Standa
A.B.S: Abominium Bonae Stilefactionis e cioè Abominio della buona stilizzazione
C.O.I.N: Canto Omertosamente Inquinato (da) Notepocostilizzate
C.O.O.P: Canto Orrendamente Orrendo (da) Peripateticafalsista
P.D.L.: Praticamente Da Linciare
2) Dei CONCETTI
2-a) Dei concetti al bene rivolti
STILIZZAZIONE: è l'ordine delle cose che sono in quanto sono perocché sono stilizzate, giacché chi non è stilizzato non è stilizzato e quindi non è.
STILIZZATO: è cioè che è stilizzato in contrapposizione logica con ciò che non è stilizzato e per dunque non è.
CANTO STILIZZATO: è, pertanto, ciò che è canto contrapposto a ciò che non è canto stilizzato e quindi non è canto ma orrendo latrato uterino da cantante falsista in pieno attacco di prurito dei canali di Fallopio.
VOCE SUONTUOSA: (cfr le sigle), è voce, dunque, oltre che sorretta da vera stilizzazione, capace di produrre suono ontologicamente unico e o quanto mai sorprendente.
MASCHERA: personaggio indispensabile nelle sale dei fastosi teatri, allo (si scrive anche "ha lo") scopo preciso di far risuonare dentro di sé le voci stilizzate e sontuose. [La definizione avrebbe potuto anche essere espressa in siffatto modo, per nulla ultroneo: "collo (si scrive anche "c'ho lo") scopo preciso ecc.", ma dato che non esercito il mestiere di maschera non mi pareva opportuno, giacché non ho lo scopo preciso di far risuonare alcunché dentro di me, specie quando ho mangiato leggero.
IMMASCHERATO: che canta con voce stilizzata e suontuosa nella maschera.
PASSAGGIO: dicesi passaggio l'insieme di note che una canto stilizzato sa promanare attraverso la maschera con voce suontuosa. Verbi gratia il passaggio temutissimo sol1-sol7 che tanto fa tremare le vene dell'inguine alle attuali Soffighebone e Gamelancia (cfr.Eleuterio).
2-c) Dei concetti al male proni
ASTILIZZAZIONE, NON STILIZZAZIONE: è ciò che non è stilizzato e quindi non è essendo contrapposto a ciò che è stilizzato perocché è e quindi è.
STILIZZAZIONE DEVASTANDA (LSD): radice da cui allignano tutte le male piante, s'è armata contro i sommi valori del VCS e diffonde nelle menti di chi l'assume la ria piaga del VCM.
ORECCHIO-MERDISMO, detto anche auralità fecale oppure, più scientificamente, diarrea introflessa del coclide: malattia sovente cronica ma ancor più spesso cronaca che affligge e infetta il 99,9 periodico della gente umana odierna. Questa malattia provoca la ricerca compulsiva di LSD, quindi di VCM. Si cura ascoltando la De Lafosse e pregando la Divina Pasta.
PREZZOLARISMO, mestiere scellerato di chi spaccia LSD.
2-c) Concetti mediani, ne buoni né puttani
ULTRONEO, ULTRONEITA': parola superna e superba, eccesso di ardore retorico, suono meccanico e sofisticamente demostenico, chiave d'ogni toppa, e ingranaggio espressivamente credibile, altezza e bassezza, immensità e chiusura, apertura alare e movimento di nari, spalancamento sulle porte spazio e temporali dell' horror vacui, strigliatura sagittale senza senso né sasso né sesso, procace ingarbuglio di connessioni intrinseche alle sinapsi dell'epimisio muscolare spiritico eppure, nel contempo e senza ombra del minimo dubbio, conciosiaccosacché sia cosa molto dubbiosa, ipostasi iperplasica dell'io superficiale ma anche profondo. Insomma, so una sega di che cosa voglia dire ultroneo ma intrippa un sacco il Donzelletta.
Per oggi è tutto, venerdì alle 14h30 la divina Pasta tiene a interrogarvi a sorpresa, e per questo ve lo fa sapere.
sabato 26 settembre 2009
C'è posta per la Pasta, vol.1 Breve scambio epistolare tra la Divina e Roffini
La Divina Pasta, assente per motivi del tutto giustificati e che comunque non vi deve alcuna spiegazione, poiché è già fin troppa grazia ricevuta che Ella si sia solamente abbassata a considerarvi dall'alto della sua megalopsichia e torreggiante eburneità di stilizzatezza, vi fa dono, affinché non ne sentiate troppo la mancanza, di alcuni suoi pretiosi ricordi, estratti dal suo poderoso archivio.
Cominciamo dunque con un breve scambio epistolare intercorso tra la Celestiale cantatrice e l'Onnipotente Maestro Roffini. Correva l'anno 1815 circa e la musa eletta alle arte stilizzate ricevette, da parte dell'illustre famiglia dei Felistrozzi Naselli degli Océani di Parma-Reggio, l'invito a esibirsi presso il Teatro Presidenziale della loro amena cittadina molisana onde sostituire l'ormai decotta Marfesina Puledrotti, che inoltre ormai s'era sposata, e quindi in Fuga. La psicagogica Giuditta aveva da poco superato la giovine età di 74 anni e mezzo, e, nonostante i suoi mezzi fossero del tutto integerrimi (e tali lo sono rimasti a tutt'oggi), per grande devozione ch'ella aveva per il Roffini, gli scrisse di suo pugno una breve lettera affinché il Maestro approntasse una revisione della stilizzatissima parte di Zelmiramide... Ma cediamo volentieri la parola, pardon, il Verbo, alla nostra savia imperatrice:
"Roffini dilet.mo,
a vergarti queste poche righe di supplica è la dolcissima amica Giuditta, per la quale non ti degnasti mai di scrivere una nota che foss'una (e non mi parlare di quella orribile parte da sguattera nella "Gita a Chartres") ma che graziasti con la tua somma Arte nel rifacere il grandioso tuo Tancretino, opera che cantai con la somma emissione stilizzata che ben sai e credo ti non essere humile oltre modo dicendo che in quella serata gloriosa, ove attinsi alle sfere più alte dell'Arte mia celeste, quasi bevendo dal labbro di Giove l'idromele squisito, tu mi guardasti con occhio pieno di dovuta gratitudine per il bene che feci all'Arte tua, che se ne trovò innalzata. Ma ben sai, Roffini mio, che sono modesta e che conciosiacosacché io sia giovine e molto, la scrittura della tua Zelmiramide mi pare non troppo adatta alla mia stilizzata vocalità odierna. E io, per fortuna dei numi, non sono la Marfesina. Perciò, dilet.mo, riscrivimi la Zelmiramide, e me ne sarai grato! Un dolce bacio sui tuoi mustacchi, tua sempre amica Titta"
Roffini, allora impegnato a scrivere le sue "Porcherie d'un bavoso" in un salotto buono del Calmy Horse di Lutezia, mandò ratto un MMS (Messaggio Massimamente Stilizzato) alla sua adorata Pasta. Riporto il testo nell'idioma originario di Roffini, il quale - lo ricordo per chi, astilizzato, lo ignorasse - benché nato a Loreto e perciò chiamato per ogni dove il "Fagiano di Lambrate", si esprimeva nel più puro dialetto di Bergamo, città onde discendeva l'augusta sua madre.
"Cara Giudì,
nun farmi riderè pecché teng e' allucì valgì ca' me piccian, propet’ te, cantà a' mia Zelmiramidè, a' ètà toja? Ma song uscitì pazzì e' Felistrozz? nun potevàn chiamà a' Grisì ca' almenò ce l''hà sempe sodè?! nun credò a' mie uocchi... Comunquè si propeto aia' cantarlà, pregà a' maronna e fai chello ca' vuoì. Io e' traspòrt nun te li facciò chesta voltà, ca' cu o' Tancretìn quasì me o' facevì sembrà na' stronzatìn e' Bruttinì. Jamme bella! Ma staje piangènd miserià? aie problèm e' soldì? sentì a me: io purè quann teng e' pezzè in front dicò vivà o' re e vaco proseguènd, ppe ciò primà e' fa' chesta scemènz, pensàc bbene.
o' toje carò Roffìn
Poscritt: ah te ricuerd chella dietà ca' me consigliàst, a vett’e vaccerr’, nun m'allicurd comm si dicè, beh comm vir' ra' fotografèll ca' te mandò ha funzionàt ppe grazià ro' Signorè! Nun te sembrò nu babbà? Stammì buonò!"
Alla fine la Divina rinunciò alla Zelmiramide, ma non certo per deferenza nei confronti del Roffini... Semplicemente il Felistrozzo fece una battuta infelice sullo stilizzatissimo decolleté della Diva, e lei rifiutò di esibirsi.
Cominciamo dunque con un breve scambio epistolare intercorso tra la Celestiale cantatrice e l'Onnipotente Maestro Roffini. Correva l'anno 1815 circa e la musa eletta alle arte stilizzate ricevette, da parte dell'illustre famiglia dei Felistrozzi Naselli degli Océani di Parma-Reggio, l'invito a esibirsi presso il Teatro Presidenziale della loro amena cittadina molisana onde sostituire l'ormai decotta Marfesina Puledrotti, che inoltre ormai s'era sposata, e quindi in Fuga. La psicagogica Giuditta aveva da poco superato la giovine età di 74 anni e mezzo, e, nonostante i suoi mezzi fossero del tutto integerrimi (e tali lo sono rimasti a tutt'oggi), per grande devozione ch'ella aveva per il Roffini, gli scrisse di suo pugno una breve lettera affinché il Maestro approntasse una revisione della stilizzatissima parte di Zelmiramide... Ma cediamo volentieri la parola, pardon, il Verbo, alla nostra savia imperatrice:
"Roffini dilet.mo,
a vergarti queste poche righe di supplica è la dolcissima amica Giuditta, per la quale non ti degnasti mai di scrivere una nota che foss'una (e non mi parlare di quella orribile parte da sguattera nella "Gita a Chartres") ma che graziasti con la tua somma Arte nel rifacere il grandioso tuo Tancretino, opera che cantai con la somma emissione stilizzata che ben sai e credo ti non essere humile oltre modo dicendo che in quella serata gloriosa, ove attinsi alle sfere più alte dell'Arte mia celeste, quasi bevendo dal labbro di Giove l'idromele squisito, tu mi guardasti con occhio pieno di dovuta gratitudine per il bene che feci all'Arte tua, che se ne trovò innalzata. Ma ben sai, Roffini mio, che sono modesta e che conciosiacosacché io sia giovine e molto, la scrittura della tua Zelmiramide mi pare non troppo adatta alla mia stilizzata vocalità odierna. E io, per fortuna dei numi, non sono la Marfesina. Perciò, dilet.mo, riscrivimi la Zelmiramide, e me ne sarai grato! Un dolce bacio sui tuoi mustacchi, tua sempre amica Titta"
Roffini, allora impegnato a scrivere le sue "Porcherie d'un bavoso" in un salotto buono del Calmy Horse di Lutezia, mandò ratto un MMS (Messaggio Massimamente Stilizzato) alla sua adorata Pasta. Riporto il testo nell'idioma originario di Roffini, il quale - lo ricordo per chi, astilizzato, lo ignorasse - benché nato a Loreto e perciò chiamato per ogni dove il "Fagiano di Lambrate", si esprimeva nel più puro dialetto di Bergamo, città onde discendeva l'augusta sua madre.
"Cara Giudì,
nun farmi riderè pecché teng e' allucì valgì ca' me piccian, propet’ te, cantà a' mia Zelmiramidè, a' ètà toja? Ma song uscitì pazzì e' Felistrozz? nun potevàn chiamà a' Grisì ca' almenò ce l''hà sempe sodè?! nun credò a' mie uocchi... Comunquè si propeto aia' cantarlà, pregà a' maronna e fai chello ca' vuoì. Io e' traspòrt nun te li facciò chesta voltà, ca' cu o' Tancretìn quasì me o' facevì sembrà na' stronzatìn e' Bruttinì. Jamme bella! Ma staje piangènd miserià? aie problèm e' soldì? sentì a me: io purè quann teng e' pezzè in front dicò vivà o' re e vaco proseguènd, ppe ciò primà e' fa' chesta scemènz, pensàc bbene.
o' toje carò Roffìn
Poscritt: ah te ricuerd chella dietà ca' me consigliàst, a vett’e vaccerr’, nun m'allicurd comm si dicè, beh comm vir' ra' fotografèll ca' te mandò ha funzionàt ppe grazià ro' Signorè! Nun te sembrò nu babbà? Stammì buonò!"
Alla fine la Divina rinunciò alla Zelmiramide, ma non certo per deferenza nei confronti del Roffini... Semplicemente il Felistrozzo fece una battuta infelice sullo stilizzatissimo decolleté della Diva, e lei rifiutò di esibirsi.
martedì 22 settembre 2009
Humanatio secunda in facie-de-culaginem Eleuterii plauditoris Gamelancae et Soffighebonae latrantium
Sono divinamente contrito del fatto che dovrò per una volta ancora rivestire i miei panni aviti di retore massimo e farvi tutta una stilizzatissima sbrodolata perché un povero minus habens ci ha di nuovo sfrantecato i maroni sulla divina De Lafosse e non pago di averceli ridotti a purea di marrons glacés ha pure deciso di andarsene invece di approfittare della nostra generositade che spagiamo a mani piene e poi ma per chi cazzo si crede di essere sto buzzurro?
La De Lafosse cantava non bene, di più e non è vero, assolutamente falso e degno di abominio imperituro pensare che fosse crescente ovvero troppo potente ovvero troppo controllata nell'emissione dei suoi acuti che parevano bucare il soffitto degli anfiteatri greci da quanto erano alti. No, la De Lafosse era tutti noi, la De Lafosse ce la faceva vede', la De Lafosse era maggica, caspiterina, ma che male v'abbiamo fatto noi eh? E che male v'ha fatto la Francine? Vado a dirlo alla maestro, uffi...
Eppure eccomi allora sin da ora e in questo ipsissimo istante pronto e prono a esibire tutta la mia gloria sintattica lanciandomi in un'invettiva pregna di sensi stilizzatissimi:
ELEUTERIO CI HAI ROTTO LA MINCHIA MA TI PREGO, RESTA E GODI DI NOI!! (E lascia perdere la Gamelancia e la Soffighebona)
Che dire, nemmeno il latino Chiacchierone era arrivato a tanto, m'inchino a me stesso.
E tanto per dimostrare che non ho detto cose mendaci, eccovi il confronto:
Aria della catena del cesso, dalla Negra e Cazziero di Roffini:
1) Cantata dalla De Lafosse, Loreto, città di miracoli, 1889
2) Cantata dalla Madrid, Loreto, città di miracolati, 1906
La De Lafosse cantava non bene, di più e non è vero, assolutamente falso e degno di abominio imperituro pensare che fosse crescente ovvero troppo potente ovvero troppo controllata nell'emissione dei suoi acuti che parevano bucare il soffitto degli anfiteatri greci da quanto erano alti. No, la De Lafosse era tutti noi, la De Lafosse ce la faceva vede', la De Lafosse era maggica, caspiterina, ma che male v'abbiamo fatto noi eh? E che male v'ha fatto la Francine? Vado a dirlo alla maestro, uffi...
Eppure eccomi allora sin da ora e in questo ipsissimo istante pronto e prono a esibire tutta la mia gloria sintattica lanciandomi in un'invettiva pregna di sensi stilizzatissimi:
ELEUTERIO CI HAI ROTTO LA MINCHIA MA TI PREGO, RESTA E GODI DI NOI!! (E lascia perdere la Gamelancia e la Soffighebona)
Che dire, nemmeno il latino Chiacchierone era arrivato a tanto, m'inchino a me stesso.
E tanto per dimostrare che non ho detto cose mendaci, eccovi il confronto:
Aria della catena del cesso, dalla Negra e Cazziero di Roffini:
1) Cantata dalla De Lafosse, Loreto, città di miracoli, 1889
2) Cantata dalla Madrid, Loreto, città di miracolati, 1906
sabato 19 settembre 2009
salutino e Membro
E' con grande onere e onore che voglio salutare lo stilizzatissimo pubblico seguace di questo Blog.
I Tenutari del suddetto hanno richiesto una mia possibile collaborazione che accetto con grande gioja. Le mie competenze non sono degne dei signori Tenutari , ma ho l'orecchio assai buono e un fiuto ottimo nello scovare e reperire vere chicche stilizzate o anche no che sempre, e in modo ultroneo, metto a disposizione dello stilizzatissimo pubblico.
I Tenutari del suddetto hanno richiesto una mia possibile collaborazione che accetto con grande gioja. Le mie competenze non sono degne dei signori Tenutari , ma ho l'orecchio assai buono e un fiuto ottimo nello scovare e reperire vere chicche stilizzate o anche no che sempre, e in modo ultroneo, metto a disposizione dello stilizzatissimo pubblico.
Dopo questa breve ed esaurita presentazione propongo una riflessione di ascolto per "Sporge l'irato membro", brano di cui ho già detto in conversari piacevoli e a tratti quasi salottieri, per non dire da caserma (mi scusino il termine!) sia con l'amico Gigi che con il Donzelletta (che pur finendo con la A trattasi di un uomo, cosa che agli inzi della mia frequentazione mi ha lasciato stupefatto per come venga ridotta la lingua italiana con gente di una ignoranza allucinante che non sa che se un figlio nasce maschio si deve chiamare con la O e non con la A. Comunque questa è una parentesi lingustica e qua la chiudo). Dicevo che, per non perdere il filo del discorso cosa che tendo a fare in modo assai ultroneo ma non ci posso fare nulla, anche mia mamma era così, sarebbe bene cercare di stabilire se l'aria del Membro (come vengono chiamate questo tipo di arie che con le arie da baule, quelle di riempimento e quelle di paragone rendono esatta l'idea della cosa a cui alludono, insomma: il Membro allude al sesso mascolino così come il paragone con uno scoglio allude allo scoglio) sia passibile di una degna stilizzazione o sia una semplice e volgare ariaccia baroccheggiante per non dire baraccheggiante.
Certo che molto fa pensare il fatto che l'aria del Membro venga associata alle arie da Riempimento, fatto che porta a facili sconcerie da avanspettacolo, perdendo tutta la sua dignità e svilendosi di molto, ma assai di molto.
"Sporge l'irato Membro" venne scritta per il famoso castrato Giuliettina Manfrè, che essendo castrato assunse quasi da subito il nome da donna perchè NON è assolutamente vero che un castrato resta maschio a tutti gli effetti ma, come dice nel suo trattato "Un sigaro co' ciuffi" la sociologa Waldemara Capece Stroganoff: "l'omo è omo solo se ha le palle e solo con le palle si può usare il sigaro co' ciuffi, cosa che rimette al mondo quasiasi Donzella".
La Manfrè portò al successo l'aria nel breve spazio di un mattino, o meglio, nel breve spazio di una notte brava: era il 1694 (o il 1964, ma cambia assolutamente poco) e tutta Parigi impazziva per lei. La ragazzona alta, snella, bionda fulva, occhio glauco e baffetti da furetta cantò l'aria del Membro nella pretiosa, ancorchè pretestuosa, Salle Topier a Pigalle durante il concorso per Miss Trans e fu il delirio. Le gambe affusolate chiuse in calze a rete color fumo di Londra, con la virile peluria che occhieggiava dalla rete, non bastarono a distogliere l'attenzione dei presenti dall'irato membro sia cantato, sia mostrato.
Vero è che la registrazione della serata, da me rinvenuta in un Music Porno Store di Amsterdam, presenta qualche lacuna e non è possibile apprezzare il pieno splendore stilizzatissimo dell'aria: fischi, schioccchi, sciacquettii e ronzii disturbano il 125% della registrazione, il restante 75% viene nascosto da una voce che urla: "Ollelè, Ollalà faccela vedè, faccela toccà" il che rende esattissima l'idea del clima che si respirava nella serata.
Fermo restando che questa è l'unica registrazione conosciuta dell'aria del Membro possiamo, quindi, dirci assai ben soddisfatti della resa acustica derivante dal fatto che solo il 200% totale della registrazione è praticamente rovinato.
Non mi sento di mettere la mano sul fuoco per giurare che l'aria del Membro (Member's air, in inglese) possa poter esser definita claro esempio di Stilizzazione Canonica ( 'Stica): la Divina Pasta mai l'ha cantata e, a onor del vero, non so nemmeno se sarebbe stata in grado di produrre gli ultronei colpi di glottide che permettono alla Manfrè di pervenire ratta e repente al Do#alla 14° (virgola 3 periodico) nota che così ben caratterizza tutto il Membro.
L'accompagnamento con Violone d'amore, Viola da gamba e Arpeggione presenta caratteristiche di sconcertante concertino.
L'edizione da me recensita è per i tipi della Fava Records. $ 245,05. Edizioni Esaurite.
giovedì 17 settembre 2009
Mezze seghe a chi? Tomo I: Padovona Luna
Inauguriamo oggi con questo pretioso articolo una serie di articoli dedicati a vari/e cantanti/e generalemente considerati dalla plebe indegna come mezze seghe e che verranno analizzati con somma nostra scienzia in questi articoli.
L’altro giorno rimettendo ordine tra gli scaffali dei nostri cilindri con grande mio disappunto perché quella sbadata di Mona Monda nostra serva da tempi immemori non aveva sdiragnato le ragnatele e ecco che in mezzo alla polvere trovo due dischi compatti che mi tornano furtivamente in memoria rimandandomi ai tempi in cui ebbi una lite furibonda tanto che addirittura gridai “per dincibacco” io sempre così attento alla forma e alle buone maniere dicevo litigavo con sto coglione d’un troglodita con le orecchie ripiene di merda che diceva che Padovona Luna fosse una mezza sega di cantante mentre io sostengo che avercene oggi che ci si spellerebbero le mano e staccherebbimo le corde vocali se la sentissimo in Ascensore dove ormai s’ascoltano solo gli strappi uterini di certe lavative che nemmeno la Monda ma lasciamo stare che mi girano le palle solo a pensarci.
Dicevo eziandio di Padovona Luna una cantante molto brava rispetto alla melma che ottunde gli odierni palcoscemici e che rimpiango con molto rimpianto anche se devo dire che dal punto di vista strettamente dell’interpretazione la signora non fosse del tutto esaudiativa conciosiacosacché fosse stilizzata abbastanza da non risultarmi completamente ultornea all’orecchio stilizzato. Questa bella topolona biondina era nata se non ricordo male dalle parti del sud Tirolo e ciò vuol dire che era un po’ tanto terroncina ma chi se ne cale o se ne cala le brache, nessuno rispondereste avendo qualche ragione di pensarlo. Fece molta gavetta cantando la Legge di Bruttini a Tokyo in Brasile e qualcos’altro dalle parti di Bratislava in Sud Corea ma ora i dati mi sfuggono e tanto è di scarso interesse e è già tanto che mi sfrantechi gli ubertosi maroni a parlare di costei ma devo dire che comunque un po’ mi ci piace perché ad esempio quando cantava la Rigida di Azzurri ebbeh non c’era per nessuno perché faceva dei bei filati che nemmeno la Grandonnona quella che nelle sue scarnificate etsi stilizzatissime spoglie riposa presso il sacro campo delle porte Sacre a Fiorenza dove rimanemmo a rimirar le stelle ecc. Ecc.
La Luna certo non scatevava le maree dell’entusiasmo questo no ma sempre è stata una solida professionista del buon canto con decenti punte di stilizzatezza specie nel settore medio acuto e nel passaggio sol3-sol 7 dove la voce raggiungeva una qualche penetratività e anche più di qualche... Ad esempio è un piacere sentirla nella scena della picche nicche nel Ballo delle debuttanti, fascinoso vaudeville di Azzurri, dato a Sao Paolo in Giappone l’anno 1867 con il grandissimo tenore azzurrista reggino Bruttibuddini... Gran figata davvero direbbe il nostro caro e petulante amico Bellacutella...
Altri tempi, altre voci, altro che mezze seghe... Se quelle poi erano mezze seghe quelle di oggi cosa sono, in proporzione? Ghigliottine elettriche... ahahah, sono stilizzatamente molto simpatico.
Ecco gli ascolti:
Padovona Luna
La Rigida d’Azzurri: gran scena del prim’atto
Aria del atto quarto
Il ballo delle debuttanti d’Azzurri: Aria del picche nicche e scena del prato (con Bruttibuddini)
Il Cercarobe d’Azzurri: Aria del prim’atto e duetto del quart’atto (con Achillini)
martedì 15 settembre 2009
Evviva il forchettone... Quando Fagiolia si mette a dieta
Per continuare la serie cominciata con tanta vis polemica dal nostro celeberrimo critico musicale Del Praz mi accingo a scrivere qualche sconsolata riga su questo nuovo parto della casa discografica di Islamabad MECCA. Grazie ai nostri potenti mezzi, decorrenti dal sovrumano VCS, siamo riusciti ad ascoltare quasi il 73% di quest'album che verrà reso disponibile nelle migliori discariche (videlicet negozi di dischi) a partire da metà del prossimo mese, alla peggio.
La divettona Fagiolia Sbattoli, che nessuno aveva notata quando cantò, con grande strepito di nari, la "Mazza glabra" di Roffini in Ascensore nel 1889, continua la sua folgorante ascesa verso i cieli della LSD (La Stilizzazione Devastanda) con questo nuovo programma, del quale ci attendiamo numerose (si fa per dire) esibizioni in pubblico come è del resto lei solita. Questa volta a passare sotto le avide fauci della belloccia cantante (nata lo ricordo nell'Apenzell da madre bergamasca, e perciò calabrese e da padre sudmessicano) è un repertorio poco conosciuto, quello delle Incastrate, ossia di quelle particolari cantatrici del secolo XVesimo cosìddette per la mole poderosa raggiunta dopo anni di studio severo, mole che consentiva a loro di ottenere quelle voci strozzate da oca all'ingrasso e che tanto hanno dato lustro a pagine di compositori stilizzatissimi quali Mandelejev, Azze, Rossoscuro, O Gallinaro ecc. ecc. Insomma, il repertorio favorito, ohimé, dei classicari di vecchia schiatta, prima che questi posassero gli occhi putti sulla produzione venerabile del grande Roffini.
Si legge infatti nell'obesa nota di accopagnamento al disco che le Incastrate, nel corso della loro formazione cominciata alla tenera età di 45 anni, e per ritardare, o addirittura interrompere il corso naturale delle cose culminanti in una avvampante menopausa, dovessero seguire un programma diurno e notturno di particolare e pesantissimo tenore. Cito dal libretto (che a sua volta cita il Tarziannus de Geine, trattatista coevo): "Le nobili pulzelle sul fiore degli anni, e prima che fortuiti calori le prendano (a segno del fior che sta molcendosi) seguiranno codesto regime ogni die et ogni notte alfine ch'elle preservino lungamente et più diuturnamente i caratteri lor belli di salute e rigogliosa baldanza juvenile. A mattutini albori assumeranno diconsi tre marmitte di tale preparato minestroso che i Toschi chiamano ribbolitta, a sesta due piatti fondi di fettucce di grano duro condite con salsa di salsiccia, a mezzodì due pasticci di maiale e rognoni di bue, a compieta sei torte di farro e strabaglione e più tardi, al Vespro, tutto sia lor concesso che non sia verde". La più celebre Incastrata, cui è stato dedicato anche un film di pessima fattura stilizzatoria, è rimasta la Farinellona, così nomata per le quantità sovrumane di pane e focacce consumate da mane a sera.
Ma veniamo alla Fagiolia, che, lo provano le effigi d'accompagnamento, ha compiutamente seguito tutte le indicazioni del de Geine. Salvo poi disattendere ogni indicazione sulle reali capacità (stiizzatissime) delle cantrici incastrate, e cioè quella del petulante filo di voce conseguente allo strozzamento dell'uvula contro la tiroide ipertrofica! Così la piacente (e sedicente, nonché sediziosa) divetta si lancia con la sua compassata, stentorea voce, in pagine che meriterebbero maggiore stilizzatezza (quella sempre) e forse più esagitazione inguinale, come le arie della Zelmiramide rimasta anonima di Rossoscuro, o la celeberrima aria di bonaccia scritta apposta dal cugino terzo della Farinellona per essere inserito nel Tortalchermesse di Azze, "Son qual nave" (e pare che fosse di gran effetto sul pubblico di allora la mossa graziosa con cui la Farinellona indicava i fianchi poderosi cantando quelle parole). Troppa voce, troppa continenza e poca stilizzatezza, dunque. Noi ricorderemo la celebre Coppiera Stimazzi in un vecchio cilindro cantare l'aria "Ombra mai fu" dal Chermesse di Mandeleiev (aria bizzarra cantata di fronte a un ombrellone difettoso), con ben maggiore sibilismo vocale e quindi stilizzatezza.
La Sbattoli è qui accompagnata dal gruppo classicaro L'Orto rumoroso. Buon pro le ha fatto perché 158 elementi sono appena sufficienti ad accompagnare il suo poderoso (e ultroneo) organo vocale.
Non forniamo il programma completo, perché questa volta è esageratamente lungo e copre quaranta dischi compatti... Senza nemmeno un'aria di Roffini!! E poi parlano di cultura! Comunque arie di Mandelejev, Rossoscuro, Azze, O Gallinaro, Tassi, Perdi, Nardi e altri della scuola dei Rantòli di Partenope in provincia di Strasburgo.
Ascolti:
Coppiera Stimazzi "Ombra mai fu" dal Chermesse di Mandeleiev
Francine de Lafosse "Son qual nave" dal Tortalchermesse di Azze
La divettona Fagiolia Sbattoli, che nessuno aveva notata quando cantò, con grande strepito di nari, la "Mazza glabra" di Roffini in Ascensore nel 1889, continua la sua folgorante ascesa verso i cieli della LSD (La Stilizzazione Devastanda) con questo nuovo programma, del quale ci attendiamo numerose (si fa per dire) esibizioni in pubblico come è del resto lei solita. Questa volta a passare sotto le avide fauci della belloccia cantante (nata lo ricordo nell'Apenzell da madre bergamasca, e perciò calabrese e da padre sudmessicano) è un repertorio poco conosciuto, quello delle Incastrate, ossia di quelle particolari cantatrici del secolo XVesimo cosìddette per la mole poderosa raggiunta dopo anni di studio severo, mole che consentiva a loro di ottenere quelle voci strozzate da oca all'ingrasso e che tanto hanno dato lustro a pagine di compositori stilizzatissimi quali Mandelejev, Azze, Rossoscuro, O Gallinaro ecc. ecc. Insomma, il repertorio favorito, ohimé, dei classicari di vecchia schiatta, prima che questi posassero gli occhi putti sulla produzione venerabile del grande Roffini.
Si legge infatti nell'obesa nota di accopagnamento al disco che le Incastrate, nel corso della loro formazione cominciata alla tenera età di 45 anni, e per ritardare, o addirittura interrompere il corso naturale delle cose culminanti in una avvampante menopausa, dovessero seguire un programma diurno e notturno di particolare e pesantissimo tenore. Cito dal libretto (che a sua volta cita il Tarziannus de Geine, trattatista coevo): "Le nobili pulzelle sul fiore degli anni, e prima che fortuiti calori le prendano (a segno del fior che sta molcendosi) seguiranno codesto regime ogni die et ogni notte alfine ch'elle preservino lungamente et più diuturnamente i caratteri lor belli di salute e rigogliosa baldanza juvenile. A mattutini albori assumeranno diconsi tre marmitte di tale preparato minestroso che i Toschi chiamano ribbolitta, a sesta due piatti fondi di fettucce di grano duro condite con salsa di salsiccia, a mezzodì due pasticci di maiale e rognoni di bue, a compieta sei torte di farro e strabaglione e più tardi, al Vespro, tutto sia lor concesso che non sia verde". La più celebre Incastrata, cui è stato dedicato anche un film di pessima fattura stilizzatoria, è rimasta la Farinellona, così nomata per le quantità sovrumane di pane e focacce consumate da mane a sera.
Ma veniamo alla Fagiolia, che, lo provano le effigi d'accompagnamento, ha compiutamente seguito tutte le indicazioni del de Geine. Salvo poi disattendere ogni indicazione sulle reali capacità (stiizzatissime) delle cantrici incastrate, e cioè quella del petulante filo di voce conseguente allo strozzamento dell'uvula contro la tiroide ipertrofica! Così la piacente (e sedicente, nonché sediziosa) divetta si lancia con la sua compassata, stentorea voce, in pagine che meriterebbero maggiore stilizzatezza (quella sempre) e forse più esagitazione inguinale, come le arie della Zelmiramide rimasta anonima di Rossoscuro, o la celeberrima aria di bonaccia scritta apposta dal cugino terzo della Farinellona per essere inserito nel Tortalchermesse di Azze, "Son qual nave" (e pare che fosse di gran effetto sul pubblico di allora la mossa graziosa con cui la Farinellona indicava i fianchi poderosi cantando quelle parole). Troppa voce, troppa continenza e poca stilizzatezza, dunque. Noi ricorderemo la celebre Coppiera Stimazzi in un vecchio cilindro cantare l'aria "Ombra mai fu" dal Chermesse di Mandeleiev (aria bizzarra cantata di fronte a un ombrellone difettoso), con ben maggiore sibilismo vocale e quindi stilizzatezza.
La Sbattoli è qui accompagnata dal gruppo classicaro L'Orto rumoroso. Buon pro le ha fatto perché 158 elementi sono appena sufficienti ad accompagnare il suo poderoso (e ultroneo) organo vocale.
Non forniamo il programma completo, perché questa volta è esageratamente lungo e copre quaranta dischi compatti... Senza nemmeno un'aria di Roffini!! E poi parlano di cultura! Comunque arie di Mandelejev, Rossoscuro, Azze, O Gallinaro, Tassi, Perdi, Nardi e altri della scuola dei Rantòli di Partenope in provincia di Strasburgo.
Ascolti:
Coppiera Stimazzi "Ombra mai fu" dal Chermesse di Mandeleiev
Francine de Lafosse "Son qual nave" dal Tortalchermesse di Azze
Francine de La Fosse ossia il vero canto stilizzato
Un coglione ignorante e oltremodo ultroneo ha osato spandere la sua merdosa ignoranza sulla chat dicendo cose indegne su un vero mito del canto stilizzato, irraggiungibile esempio di preclara virtù canora e irripetibile dispensatrice di divine libagioni celesti ovunqu'ella cantasse e tanto che quando alzava la sua voce il volo verso i lidi del perfetto amore i suoi acuti parevano far risuonare tutte le campane della provincia di Sanpietro anche s'ella cantasse nel suo sacello sacerrimo al nume Gabbietti ovverossia l'amena spiaggia eletta di Francina Marta in Val Camonica dov'ella ogni inverno riempiva l'aere di rose e fiori d'ogni balsamo divino, punto e punt'e virgola.
Ora dato che voi avete le orecchie ripiene di merda andata pure a male e siete di un'ignoranza che nemmeno un manovale circasso e non si prenda questa affermazione per espressione di qualche ultronea nostra inclinazione a considerare ignoranti i manovali circassi ma dicevo --:;: che benché voi siete ignoranti e nemmeno si possa pretendere da voi financo la volontà di raggiungere il nostro livello di stilizzatezza superiore o semplicemente di superiorità manifesta ma almeno risparmiatevi di dire cazzate di quella portata perché a noi rischiano di uscirci gli stilizzatissimi e sintatticissimi occhi dalle orbita sacerrime e a voi che vi si tratti non proprio bene contrariamente a come siete abituati a essere da noi trattati nella nostra magna bontade. Capito infimi?
Ma solo per vostra informazione posso a difesa, ma che dico, di difese la divina De la Fosse proprio non ne necessita, ma comunque per farvi capire quanto ignorante e piccolo e troglodita è quel coglionazzo che l'ha qui presentemente criticata vi dirò solo questo, ad onta anche di tutti quei scimiettini che si piccano di restaurare chissà quali canoni d'interpretazione della musica ossia i classicari che poi altro non sono che parti puteolanti e scagatini del ben più feso, leso e ledente falsismo insomma questi vogliono farci credere che il diapason era variabile mentre la De la Fosse i cui acuti s'accordavano sempre a 215 hz/s dimostrano perché la De la Fosse non poteva sbagliare e aveva l'intonazione relativa, l'unica vera intonazione stilizzata, insomma ciò dimostra che il resto è tutto una cagata pazzesca e che così si deve cantare, punto e virgola, anzi punto e croce. E poi andate un po' tutti a farvi una purga ma prima dalla bocca perché mi sa che gli stronzi vi escono più da lì che dal naturale orifizio... Dio mio cosa si deve leggere, per dindirindina ecc. ;9;s,s,
Ecco il programma del concerto, ovviamente dell'unico compositore degno di essere cantato da cotanta grazia ipermondana:
ROFFINI (e chi, sennò):
1) Cantata della Giovannona Coscia Lunga
2) Aria di Arsacolm della Zelmiramide
3) Rondò di Isjard'ha dall'Algerina a Lampedusa
4) Aria di Cazziero dalla Negra e Cazziero
e tanto basta. Allegata la locandina originale del concerto, avvenuto nella gloriosa (olim) città di Capistronfoli sulla Frascapendente nell'ormai lontano 1871.
lunedì 7 settembre 2009
Pippo Lebusky, tenore-contro - LSD
S’inaugura oggi una serie, se mai avrà un seguito il presente articolo, di recensioni dedicate a artisti che oggi vanno per la maggiore a causa del degrado culturale, della destilizzazione e dell’incapacità dei modesti cerebri degli uomini odierni a potere cogliere, pur nella semplice intuizione di chi non può sapere, la presenza del VCS tra di noi.
Cominciamo dunque da questo disco uscito da qualche tempo per le stampe della casa discografica albanese Svirgin. La copertina già di per sé (una rondine non fa primavera, ma in questo caso lo fa davvero, ed è cosa mirabile) è aberrante: un uomo barbuto, in posizione assai poco languida e adatta al suo sesso, con in prospettiva un orinatoio pubblico ove un vero uomo non andrebbe mai a espletare i suoi stilizzati bisogni. Passiamo al titolo dell’album, provocante quanto basta ma, dopottutto, in linea con la triste andazzo attuale delle coscienze dormienti: LSD, sigla indicante, come forse non sapete, La Stilizzazione Devastanda, menglio conosciuta come Standa, luogo di perdizione persino di quelle rarissime anime ancorate al verbo del VCS. LSD dunque non è soltanto un biglietto andata e ritorno verso i lidi del nulla, ma anche e soprattutto quel principio di ogni male da cui allignò negli anni 1750 il falsismo più becero e pornografico. E ecco che, quasi a sugello di tanta opera di destrutturazione stilizzatoria la Svirgin intitola addirittura e con sfacciata arroganza un disco a codesta famelica bestia, sacrificio indegno ed immondo, opera del male e destinata a genti abiette.
Passiamo dunque al programma, e quivi è visibile tutto il male che lo LSD s’arma a diffondere per l’universo mondo: non già portentose arie di Roffini ma ariette “da gabinetto”, che i falsingardi operatori della più bassa cultura antistilizzata vogliono diffondere come opere di alto ingegno. Quante tenebre gettate ai volti onde mascherare il lume del vero! E dunque cosa ascoltiamo in questo putrido disco compatto, Numi eterni! Un omone dalla voce fonda e grassa, il tenore-contro Lebusky (che senso ha usare queste voci di cui in tempi più sani non volevano nemmanco i registi di film maialecci) che immaginiamo barbuto e villoso adagiarsi scomposto su una coppa di ceramica a dare sfogo alle sue smanie intestine... Tutto il contrario di quella virilità stilizzata, maschia e potente che esprimevano i virati cantori e di cui il Biondini fu l’estremo rappresentante in quel di Francina Marta sotto la guida e il bastone amorevole del Gabbietti!
I vulgarissima fragmenta qui incisi con quella voce orrendamente animalesca sono esempio manifesto del male che ci circonda. Non fatevi ingannare e seguite la sola, unica, vera via del VCS, senza mai lasciarvi tentare da quegli artificialissimi paradisi olezzanti.
Gigì del Praz
Il programma pseudo turale e realmente cul:
Rinaldo Hi-Han: Al Chilly mentolato
Fagolia Camminata: Il buio (re)cesso
Romino Massenevada: Lamento sulla coppa
Michele Vero-Mi: Nell’opportuno vaso
Edmondino Calzetta: Il culo a libri
Michele Vero-Mi: Primavera floreale
Fagolio Camminata: Mio nonno (dalla raccolta delle Emorro-Odi)
Rinaldo Hi-Han: Brache calanti
Edmondino Calzetta: Deodora-Lillà
Edmondino Calzetta: Papilloma virus
Rinaldo Hi-Han: L’odore squisito
giovedì 27 agosto 2009
Ossequiose scuse, scusanti ossequi
Ai nostri cari ancorché talora ultronei e mai abbastanza stilizzati se pertanto e conciosiaccosaché difficilmente essi mai lo siano anche solo un’oncia ma transexat si devono molteplici e vieppiù confuse scuse per tanto nostro silenzio più strazievole per le vostre povere animelle avide di latte dalla copiosa mammella della divina Giuditta che non per noi esseri ormai pervicacemente estratti e anco astratti dalle umane cure e dunque eccomi vostro devo.tmo Donzelletta come sempre prono e pronto a servire non tanto ai derebrati cerebri vostri che pur tanto ci onorano di loro presenza quanto ginocchioni e ammirato ponendo il collo in grembo alla Divina cantatrice cui dedico questo dilettevole esercizio del mio sapere.
Dunque acciocché voi sappiate la cagione di tanto nostro ritiro e tanto vostro patire, comincerò dal cominciamento e dall’inizio, perché cosa è giusta e assai degna di lode nel grande autore scrivente cose scritte la logica, dacché, come vaticinò quell’anima ebbra di luce chiamata Gabbietti “de prima re multa consequuntur magna cum copia et coetera”, grande lume d’intenti e d’interessi e amabilissimo sire delle anime ben disposte all’accoglimento del verbo che tutto si raduna in una sigla dolcissima e molcente il cuore quale è il santo nome del VCS, e quindi comincio dall’inizio ed eccomi a scrivere che a principio e causa prima del nostro dipartire da questi schermi plebei ma via via vieppiù stilizzandi e stilizzaturi dovemmo, e dovendo partire partimmo a soggiornare presso i lidi ameni e gai e giocondi e lieti e belli e gai e belli e lieti e giocondi e gai e ameni e lidi dell’ameno, gaio, giocondo, lieto e bel cimitero delle Finestre sacre in quel di Fiorenza prospiciente la ben più grande e nota Fiesole ove in augusto avello giace nelle sue pallide membra scarnificate etpur sempre stilizzatissime il terrestre velo della grande e graziosa stilizzata anima di cantatrice nomata Giuseppa Grandonnona, che tanto diede del suo effluvio vocale al genio del maestro Azzurri... Quivi, in tale lieta piaggia amena e gioconda e ancorché voi non possiate mai arrivarvi dacché non stilizzati quali sieti rimarreste estereffatti e godenti della vostra antistilizzata e fella agnosceria a rimirare l’antistilizzato panorama che s’offre dal sottostante piazzale dei Marchidiavoli, ma se saliste mai al piano ove si stende l’amena lieta gioconda e gaia spiaggia e non aveste gli occhi pieni di merda ancor più se mai è possibile alle umane voglie delle orecchie vostre putridescenti, ebbene potreste visitare la tomba soave della portentosa e sontuaosa Giuseppa Grandonnona e quivi restammo a lungo a respirare l’effluvio delle tombe dismesse e sentire il canto dolcissimo delle garrulle cornacchie e upupe che tanto al nostro sovvenire ramembrano i cori, i canti, le armi e i cavalieri della soavissima gorga della nostra beneamata e benvoluta Francine de Lafosse, la ben nomata dalla fossa melodiosa da cui pareva provenire quel canto che con un solo involo sul passaggio Sol1-Sol7, ancorché trattenuto nella mezzavoce dei suoi illimitati mezzi, faceva risuonare a tutta forza ogni campana della provincia di Sanpietro anche s’ella cantasse e emettesse quei suoni a distanze inverosimili e invereconde direste voi anime prave.
E... ma poi che cazzo v’importa perché non abbiamo più scritto, ficcanaso che non siete altro... Siamo tornati, forse no, boh... Se avete voglia di leggere fatelo, altrimenti sapete quanto ne può fregare alla Divina Pasta???
Vostro ossequiosissimo, adorante, pallente e sempre divoto Donzelletta, emulo e paredro di sua altezza oltre inter super et inframondana Giuditta sempre celeste Pasta.
Dunque acciocché voi sappiate la cagione di tanto nostro ritiro e tanto vostro patire, comincerò dal cominciamento e dall’inizio, perché cosa è giusta e assai degna di lode nel grande autore scrivente cose scritte la logica, dacché, come vaticinò quell’anima ebbra di luce chiamata Gabbietti “de prima re multa consequuntur magna cum copia et coetera”, grande lume d’intenti e d’interessi e amabilissimo sire delle anime ben disposte all’accoglimento del verbo che tutto si raduna in una sigla dolcissima e molcente il cuore quale è il santo nome del VCS, e quindi comincio dall’inizio ed eccomi a scrivere che a principio e causa prima del nostro dipartire da questi schermi plebei ma via via vieppiù stilizzandi e stilizzaturi dovemmo, e dovendo partire partimmo a soggiornare presso i lidi ameni e gai e giocondi e lieti e belli e gai e belli e lieti e giocondi e gai e ameni e lidi dell’ameno, gaio, giocondo, lieto e bel cimitero delle Finestre sacre in quel di Fiorenza prospiciente la ben più grande e nota Fiesole ove in augusto avello giace nelle sue pallide membra scarnificate etpur sempre stilizzatissime il terrestre velo della grande e graziosa stilizzata anima di cantatrice nomata Giuseppa Grandonnona, che tanto diede del suo effluvio vocale al genio del maestro Azzurri... Quivi, in tale lieta piaggia amena e gioconda e ancorché voi non possiate mai arrivarvi dacché non stilizzati quali sieti rimarreste estereffatti e godenti della vostra antistilizzata e fella agnosceria a rimirare l’antistilizzato panorama che s’offre dal sottostante piazzale dei Marchidiavoli, ma se saliste mai al piano ove si stende l’amena lieta gioconda e gaia spiaggia e non aveste gli occhi pieni di merda ancor più se mai è possibile alle umane voglie delle orecchie vostre putridescenti, ebbene potreste visitare la tomba soave della portentosa e sontuaosa Giuseppa Grandonnona e quivi restammo a lungo a respirare l’effluvio delle tombe dismesse e sentire il canto dolcissimo delle garrulle cornacchie e upupe che tanto al nostro sovvenire ramembrano i cori, i canti, le armi e i cavalieri della soavissima gorga della nostra beneamata e benvoluta Francine de Lafosse, la ben nomata dalla fossa melodiosa da cui pareva provenire quel canto che con un solo involo sul passaggio Sol1-Sol7, ancorché trattenuto nella mezzavoce dei suoi illimitati mezzi, faceva risuonare a tutta forza ogni campana della provincia di Sanpietro anche s’ella cantasse e emettesse quei suoni a distanze inverosimili e invereconde direste voi anime prave.
E... ma poi che cazzo v’importa perché non abbiamo più scritto, ficcanaso che non siete altro... Siamo tornati, forse no, boh... Se avete voglia di leggere fatelo, altrimenti sapete quanto ne può fregare alla Divina Pasta???
Vostro ossequiosissimo, adorante, pallente e sempre divoto Donzelletta, emulo e paredro di sua altezza oltre inter super et inframondana Giuditta sempre celeste Pasta.
lunedì 23 marzo 2009
La Topa e il Sacro - Parte seconda: le fonti
Dopo aver dato, nella prima puntato, qualche ragguaglio sulla vita tormentata della fondamentale compositrice settecentesca Gustava Dandolo in Culfranti, eccomi pronto a farvi parte del mio sapere profondo da vero musicologo enunciandovi le fonti con le quali s'è ricostruita la partitura della cantata "La Topa e il Sacro", data per la prima volta alle scene a Parma nel 1765.
Innanzittutto facciamo un po' d'ordine riguardo alle edizioni antiche e moderne: parti dello spartito, e in particolar modo le arie della protagonista iperfemminile vennero stampate sin dal 1801 in quel di Roma (provincia di Sampietro) dalla tipografia inglese Moot 'n Day, con la nota "ad uso delle savie donzelle", e più sotto, al frontespizio "edizione di arie della marchesa Culfranti dagli originali". Di quali "originali" si parla questo è difficile da stabilirsi, giacché molte soluzioni armoniche (v.g.: progressione SI LA DO nella prima aria della Topa) non si ritrovano negli autografi recentemente riscoperti (vd infra). E' probabile che la dicitura "dagli originali" sia fallace, oppure che l'anonimo editore abbia deciso di modificare l'assetto armonico dei brani. In ordine cronologico segue, in un florilegio di arie scritte per la famiglia Degli Oceàni stampata nel 1827 per i tipi delle Dimenticanze di Frecate, un'aria del Sacro "Son più forte, son più bello" indicata come "tratta della pars secunda" senza specificarne ulteriormente la collocazione all'interno della cantata. Per trovare successive fonti a stampa si deve fare un salto di ben 80 anni: del 1907 infatti è la prima ricostruzione frammentaria dell'opera, a cura di Gianciotto Missa Drizza, stampata "per conto della famiglia Dandolo" a Vinegia. In realtà non esiste una famiglia "Dandolo" direttamente legata alla Culfranti, ma si suppone che sotto questo nome, nella Vinegia del primo '900 si nascondesse un'associazione di mutua assistenza rivolta a chi, in periodi così bui, si sottoponesse, come la Dandolo, al cambio di persona. Nella breve e oscura prefazione, Missa Drizza elenca il materiale consultato al fine di restaurare l'integrità de "la Topa". Vi riporto il paragrafo nella sua interezza:
"Onde ricucire pezzo per pezzo, brano a brano, la cantanta che quivi le S.V. ritroveranno per loro grande godimento, dovetti cercare e ricercare ancora nelle Regie Biblioteche di mezza Europa, e laonde le fonti mi dicessero che la Topa fosse stata data quivi mi recai a verificarne la sussistenza. E lungo fu il mio peregrinare di scaffale in scaffale, e di scaffale in scaffale, in Topa in Topa, riuscì a cavare bastevoli tracce da concludere il presente lavoro. Di particolare aiuto mi furono i mss seguenti: - Il codex Frocini della Biblioteca Checchese a Riga - Il codex Prurigi della Bibliothèque Nationale de France, in Lutezia - Il codex Missionari custodito presso l'Archivio privato del Conte Semela D'Aigratie a Culotta.
Infine trovai di somma grazia alcune arie d'un'opera d'un genovese chiamato Ferrari, e poiché la cantata così conclusa pareva poco completa, ve l'aggiunsi ad arbitrio mio, pur certo che vi sarebbe stato gradito".
Dalle parole suddette si evince chiaramente come l'abitudine di credere che l'opera di Ferrari "La vulva e il coccige" sia il modello della cantata della Dandolo nasce da questa edizione contaminata. Ma a questo proposito consacrerò un futuro mio al solito illuminante saggio.
I tre manoscritti elencati dal vigoroso Missa Drizza non esistono più, giacché guerre e latrocinii li hanno fatti sparire: in particolar modo colpisce la triste sorte dell'Archivio privato del Conte Semela D'aigratia, smembrato dagli ultimi eredi del lignaggio e probabilmente finito in mani di innumerevoli privati.
Ma in fondo poco importa, giacché nel 1950, presso la Biblioteca principesca degli Oceàni a Parma, nel cartonnage di una serie di volumi ottocenteschi sull'Arte dell'uccellagione a mano libera, sono state ritrovate ben 50 carte di pugno della Dandolo, contetenti la Topa in quasi tutta la sua superba completezza. Le pagine però erano in feroce disordine, e poiché l'edizione del 1907 sembrava del tutto inaffidabile circa la ricostruzione della sinossi, e data l'assoluta astratezza dell'argomento, gli studiosi non seppero pubblicare un'edizione completa della cantata, ma solo le singole arie in ordine sparso, in un volume, stampato nel 1955 a Croctone nella provincia di Islamabad.
Soltanto nel 1978, con il ritrovamento del tutto fortuito, del libretto originale della Topa (vd immagine allegata), in un codice miscellaneo appartenuto a Felistrozzo degli Ozeàni e sottoscritto dalla ben più celebre cantatrice Marfesina Puledrotti in Fuga, amante di Felistrozzo e grandiosa prima interprete della Fanciulla Maniscala di Franz de Pallen, si poté stabilire un'edizione completa e critica del capolavoro della Dandolo. E questa venne esarata direttamente dal Nume Gabbietti per i tipi della casa editrice Oscura di Mediolano sulla Martesana.
Innanzittutto facciamo un po' d'ordine riguardo alle edizioni antiche e moderne: parti dello spartito, e in particolar modo le arie della protagonista iperfemminile vennero stampate sin dal 1801 in quel di Roma (provincia di Sampietro) dalla tipografia inglese Moot 'n Day, con la nota "ad uso delle savie donzelle", e più sotto, al frontespizio "edizione di arie della marchesa Culfranti dagli originali". Di quali "originali" si parla questo è difficile da stabilirsi, giacché molte soluzioni armoniche (v.g.: progressione SI LA DO nella prima aria della Topa) non si ritrovano negli autografi recentemente riscoperti (vd infra). E' probabile che la dicitura "dagli originali" sia fallace, oppure che l'anonimo editore abbia deciso di modificare l'assetto armonico dei brani. In ordine cronologico segue, in un florilegio di arie scritte per la famiglia Degli Oceàni stampata nel 1827 per i tipi delle Dimenticanze di Frecate, un'aria del Sacro "Son più forte, son più bello" indicata come "tratta della pars secunda" senza specificarne ulteriormente la collocazione all'interno della cantata. Per trovare successive fonti a stampa si deve fare un salto di ben 80 anni: del 1907 infatti è la prima ricostruzione frammentaria dell'opera, a cura di Gianciotto Missa Drizza, stampata "per conto della famiglia Dandolo" a Vinegia. In realtà non esiste una famiglia "Dandolo" direttamente legata alla Culfranti, ma si suppone che sotto questo nome, nella Vinegia del primo '900 si nascondesse un'associazione di mutua assistenza rivolta a chi, in periodi così bui, si sottoponesse, come la Dandolo, al cambio di persona. Nella breve e oscura prefazione, Missa Drizza elenca il materiale consultato al fine di restaurare l'integrità de "la Topa". Vi riporto il paragrafo nella sua interezza:
"Onde ricucire pezzo per pezzo, brano a brano, la cantanta che quivi le S.V. ritroveranno per loro grande godimento, dovetti cercare e ricercare ancora nelle Regie Biblioteche di mezza Europa, e laonde le fonti mi dicessero che la Topa fosse stata data quivi mi recai a verificarne la sussistenza. E lungo fu il mio peregrinare di scaffale in scaffale, e di scaffale in scaffale, in Topa in Topa, riuscì a cavare bastevoli tracce da concludere il presente lavoro. Di particolare aiuto mi furono i mss seguenti: - Il codex Frocini della Biblioteca Checchese a Riga - Il codex Prurigi della Bibliothèque Nationale de France, in Lutezia - Il codex Missionari custodito presso l'Archivio privato del Conte Semela D'Aigratie a Culotta.
Infine trovai di somma grazia alcune arie d'un'opera d'un genovese chiamato Ferrari, e poiché la cantata così conclusa pareva poco completa, ve l'aggiunsi ad arbitrio mio, pur certo che vi sarebbe stato gradito".
Dalle parole suddette si evince chiaramente come l'abitudine di credere che l'opera di Ferrari "La vulva e il coccige" sia il modello della cantata della Dandolo nasce da questa edizione contaminata. Ma a questo proposito consacrerò un futuro mio al solito illuminante saggio.
I tre manoscritti elencati dal vigoroso Missa Drizza non esistono più, giacché guerre e latrocinii li hanno fatti sparire: in particolar modo colpisce la triste sorte dell'Archivio privato del Conte Semela D'aigratia, smembrato dagli ultimi eredi del lignaggio e probabilmente finito in mani di innumerevoli privati.
Ma in fondo poco importa, giacché nel 1950, presso la Biblioteca principesca degli Oceàni a Parma, nel cartonnage di una serie di volumi ottocenteschi sull'Arte dell'uccellagione a mano libera, sono state ritrovate ben 50 carte di pugno della Dandolo, contetenti la Topa in quasi tutta la sua superba completezza. Le pagine però erano in feroce disordine, e poiché l'edizione del 1907 sembrava del tutto inaffidabile circa la ricostruzione della sinossi, e data l'assoluta astratezza dell'argomento, gli studiosi non seppero pubblicare un'edizione completa della cantata, ma solo le singole arie in ordine sparso, in un volume, stampato nel 1955 a Croctone nella provincia di Islamabad.
Soltanto nel 1978, con il ritrovamento del tutto fortuito, del libretto originale della Topa (vd immagine allegata), in un codice miscellaneo appartenuto a Felistrozzo degli Ozeàni e sottoscritto dalla ben più celebre cantatrice Marfesina Puledrotti in Fuga, amante di Felistrozzo e grandiosa prima interprete della Fanciulla Maniscala di Franz de Pallen, si poté stabilire un'edizione completa e critica del capolavoro della Dandolo. E questa venne esarata direttamente dal Nume Gabbietti per i tipi della casa editrice Oscura di Mediolano sulla Martesana.
venerdì 20 marzo 2009
Merlina in Ascensore
L’asceso ormai disceso teatro inaugura con la Merlina di Menedelejev la sua maratona classicara. Serata, quella di ieri sera, divisa tra tradizione, cagate filologiche, e innovazione. Le voci (ma che sto ancora qui a discuterne…io non canto più dal 1851…) ovviamente sono state in grande difetto. Difetto sonoro, in quanto proprio non si sentivano, che pareva cantassero con la testa cacciata in un imbuto sigillato con del silicone. La serata manco a dirlo è passata senza lasciare troppe tracce, tra fischi e buuu indirizzati alla Megacess, interprete del ruolo di Amelialastregacheammalia, e al regista Corsen Nodepoi, il quale ha privato lo splendido (e chiarissimo direi) libretto di tutta la sua fantasiosa magia per restituirci una porcata con servette puttanelle e simili; e applausi abortiti in seguito ai sacrosanti zittii (e caspiterina, se vi dico io di star zitti un motivo ci sarà, no???) provenienti dal loggione. Lo spettacolo è stato una vera ciofeca nonostante le cagate buoniste che qualche forumista con le orecchie piene di merda si ostina a dire a tutti i costi…garantisco che ieri sera eravamo all’ammazzacaffè…altro che frutta!
Protagonista nel ruolo di Merlina il Soprano Arterio, che con i soli mezzi naturali è riuscita ad imporsi sul resto del cast…la voce è naturalmente bella e ampia, peccato le mende tecniche che la portano a sbracare il grave, aprire il centro e a salire con la voce indietro, frutto tutto questo di una impostazione tecnica veramente fallosa e poco stilizzata. Il legato è andato a farsi benedire più di una volta…non sentiremo più un vero legato come era quello di Dame Jenny Northerland, che grazie al suo grammelot pasticciato non ci faceva capire una fava di quello che diceva, però santo cielo che legato!!! Un vero paradiso sonoro che a voi ascoltatori moderni sarà precluso ascoltare per il resto della vostra esistenza. Quanto allo stile poi, sembrava una perfetta Beatina della Cavalleria Urbana, che pareva di sentire un animale sgozzato ad ogni recitativo, più che una primadonna stilizzata del Belcanto settecentesco.
Più a posto stilisticamente il Ruggione di Monaca Piselli che ha presentato però un’organizzazione vocale da film horror… la voce non ha mai trovato in tutta la recita la giusta posizione in maschera, sempre arroccata nel fondo dell’esofago che pareva volesse uscire dal culo più che dalla bocca…ed effettivamente l’effetto è stato poco diverso!! Assolutamente peteggiante, infatti, il Verdi prati falcidiato inoltre dai vistosi tagli. Quanto al canto di agilità…boh…chi l’ha sentito??
Veniamo ora alla Amelialastregacheammalia della Megacess vera croce, senza delizia, di questa scalcinata Merlina. Una Megacess in grado di rendere un must del belcanto settecentesco un must del ridicolo con suoni talmente fissi che somigliavano più ad un fischio di richiamo per gli uccelli o ad una nutria in amore, che ad una cantante lirica alle prese con una delle più belle e difficili arie mai belcanto settecentesco.
La Bradamente di Khristine Marameo mancava totalmente di volume e penetrazione…zona centrale totalmente sorda che pareva le avessero foderato la bocca di ovatta, agilità al più corrette, artista inutile.
Quanto agli uomini il proverbiale pietoso velo sarebbe veramente d’obbligo, ma per onore di cronaca diremo che il tenore interprete del ruolo di Oronzo pareva più un vaccaro che bercia portando le mucche al pascolo che un cantante professionista, e il basso, l’orrendo Oplites, pareva una delle vacche di cui sopra…argh!!!
Unica nota positiva della serata il direttore Antonietti che finalmente ha evitato di sfrantecarci i pendenti con tempi da messa cantata, e perverse libidini classicare… complice anche lui, però, nell’aver scelto ‘sti berciazzi incapaci di affrontare persino un banalissimo passaggio Sol1-Sol 5, privi di vera tecnica stilizzata di canto…
La regia di Corsen Nodepoi è stato il vero bersaglio di questa guerra santa loggionistica. Operazione più psico-masturbatoria che colta quella di Corsen Nodepoi che ha voluto privare l’opera Mendelejeviana di tutta la sua metaforica e poetica magia, per abbassarla a squallido quadretto perverso e borghese fatto di sevette imputtanite, borghesi mondani e uomini ignudi.
Signori miei, se questa è Merlina io sono…Giulia Grisi!!!
GP
giovedì 12 marzo 2009
Terz'ultima excogitatio: maschere e bigliettieri
E' inutile stare tanto a rallegrarsi e sparare botti se poi non ci sturano le orecchie dalla me..lma che le fa imputridire ogn'ora.
Com'è di specchiata notorietà un teatro e qualsivoglia società d'intenti che non si fondi in maniera del tutto ultronea su una collaborazione più vasta e falsamente democratica deve avere due elementi fondamentali al timone e poco c'importa del direttore artistico e del sovrintendente: fondamentali sono appunto maschere e bigliettieri altrimenti detti bigliettai altrimenti detti omini della biglietteria.
Ora i secondi hanno a che vedere con il vil denaro e guai se le maschere si confondono con il loro operato verificando ad esempio la corretta distribuzione dei posti in platea o il fatto che alcuni furbetti passano da galleria a platea giocando all'arte de' portoghesi tanto nota già ai tempi del falsismo piaga della moralità umana e tutto a disdoro delle umane glorie punto. No, le maschere hanno un loro ruolo fondamentale che è quello di far risuonare le voci dei cantanti dentro di sé giacché come disse il Gabbietti alla giovanissima Francine De Lafosse che senza le sue illuminate tesi mai avrebbe raggiunto il celeberrimo e inebriante "belatino da troppo e perfettissimo appoggio" e quindi si trovò a sentire dire dal Nume: "Recordare, dulcissima Francina, quod in canto stilefacto unum secretumst idest mascara" cosa che le attuali cantanti forse in preda a falso zelo latinista hanno interpretato come bistro o belletto scurrile da porsi sugli occhi onde parere tutte cantanti da film muto del 1750 o eroina falsista tutta spingi spingi che lo stringi e invece "mascara" è ben noto basso latinismo del Gabietti per indicare la maschera e quindi da ciò si evince come logica specchiata e non assolutamente ultronea né insapida che la maschera ha ruolo fondamentale nel teatro affinché il canto sia veramente stilizzato.
E quindi è questo che oggi manca nei teatri delle vere maschere che sappiano far risuonare la voce alta in modo che prema il tetto e scoperchi il teatro e insomma succedano quelle cose oltramondane che oggi non riusciamo a sentire giacché più che scoperchiare il teatro si produce l'effetto opposto ossia che s'attappa il buco del culo e si diventa pure stitici ad andare a ascoltare codesti malnati che s'avvicendano sui palcoscenici per nostra grande sventura.
E poi le maschere dovrebbero anche conoscere il grandissimo compositore napoletano "O Gallinaro" ma questa è un'altra storia e non voglio mai che voi vi sentiate inferiori alla mia sapienza garzantinamente acquisita.
Sic dixit Donzelletta. Feliciter amen.
lunedì 9 marzo 2009
La Topa e il Sacro - Parte prima: storia di una compositrice, Gustava Dandolo
L'esimio, sacerrimo Gabbietti in un suo illuminante saggio ebbe a dire "Topa et sacrum est apex toti canti stilefacti, gurgis animae famulantis in eo", e qui potremmo fermarci, stimatissimi lettori, nel descrivere quella che per noi veri estimatori del Vero Canto Stilizzato è quasi il sacro Graglio dell'arte, la vetta irragiungibile di un sapere che pur appartenendo a mondi non accessibili senon alla divina Pasta e al suo paredro Donzelletta, riusciamo comunque a vedere delinearsi dietro il velo della nostra ben disposta ignoranza.
La recente scoperta ad opera del noto critico avanguardonista Herrera José dello spartito della "Vulva e il Coccige", creduto disperso da ormai più di trecento anni, ci ha spinti a riconsiderare uno spartito che per anni, pur ferma rimanente la sua gloriosa ubertà musicale in materia di stilizzatezza, passava per semplice rifacimento. Ma così non è, e il confronto tra i due spartiti, che presto deporrò ai piedi della divina Pasta affinché Ella lo disponga per voi, lo dimostra appieno.
Ma vorrei in cotanto giorno partire da una più semplice disamina della storia di questo spartito, prendendo le mosse dalla loro compositrice, Gustava Dandolo in Culfranti. Accennerò brevemente ad una biografia poggiante su scarsissime fonti. Della Dandolo infatti sono noti un solo ritratto (vd immagine), che la coglie nel fiore della sua pallente bellezza e pochissime testimonianza biografiche diretta, la prima delle quali è contenuta in una lunga epistola che il marito di lei, l'assai meglio noto Titozzo Marchesati Culfranti, scrisse al Conte Palatino di Borgogna all'indomani del matrimonio, avvenuto in Algeri (isola di Cicilia) nel giugno del 1735. E qui possiamo citare il breve stralcio della lettera:
"Sono altresì lietissimo, sua celestiale Altezza, di nunziarvi con grande diporto di cuore le mie recentissime - giacché avvenute ier soltanto - nozze con una giovinissima puledra di Vinegia a pena tornata da Masionegra ove, nell'intento esclusivo di potere a me legare sua sorte, da Gustavo qual era cangiossi di persona e divenne Gustava, tutta mia e per diletto del mio cuore. Oh quanto contento sono è cosa dura a dirsi, Altezza gratiosa, e con quanta gioja in seno men vo diritto alla catastrofe de li anni correnti, ora che allato reco quale fiore mattutino questo giglio candido et odoroso. Oh quanta felicità sarebbe, Oddio! se potessi presto presentarla a Voi ma appena desponsato eccomi garzone ancora, gia che la sposa mia è musica anch'essa e corse stamani a onorare un suo contratto nella non lontana Regio, ove l'attende il regal teatro cittadino per le prove dell'opera sua ultima".
Pochi dati si possono evincere da queste righe: Gustava era nato Gustavo, a Vinegia e quando andò in sposa a Culfranti già esercitava il mestiere di compositrice. E' davvero un peccato che il Culfranti non citi il titolo dell'opera della Dandolo data a Reggio Calabria, in provincia di Merano, nel 1735, giacché non è stato possibile rintracciarlo in nessuna fonte ad oggi nota.
Poi, fino alla data certa della composizione della "Topa e il Sacro", nessuno sembra aver ricordo della bellissima moglie di Culfranti. Non è nemmeno noto se essi abbiano avuto una figlianza, anche se il cambio di persona subito dalla Dandolo potrebbe portarci a tendere ad un'ipotesi negativa in tal senso.
Nel 1764 la Dandolo è sicuramente già a Parma a servizio presso i Duchi degli Oceàni, come testimonia una lista di stipendi ritrovata in calce ad un libro di ricette custodito presso la biblioteca privata della famiglia Oceàni. E nel 1765 la compositrice viene portata sugli scudi grazie al suo capolavoro "La Topa e il Sacro", sulla cui genesi torneremo nella seconda parte di questa serie monografica.
Di lei si perdono ancora le tracce per almeno un'altra ventina di anni, ma nel 1786 essa viene citata nella "Gazzetta sprizzante" quale autrice di un intermezzo di grande successo, il "Dito nella camera del Sacro". Purtroppo di quest'opera dal titolo assai interessante, quasi certamente tratta dal romanzo di avventure "The itching hole" del maleste Mirò Delculle Prude, non rimangono né partitura né libretto.
Non si sa nulla della vecchiaia di Gustava Dandolo, ma non credo sia ultronea e avventata ipotesi pensare che sia stata non meno avventurosa della gioventù.
A presto per una disanima della protogenesi e partenogenesi de "La topa e il sacro".
La recente scoperta ad opera del noto critico avanguardonista Herrera José dello spartito della "Vulva e il Coccige", creduto disperso da ormai più di trecento anni, ci ha spinti a riconsiderare uno spartito che per anni, pur ferma rimanente la sua gloriosa ubertà musicale in materia di stilizzatezza, passava per semplice rifacimento. Ma così non è, e il confronto tra i due spartiti, che presto deporrò ai piedi della divina Pasta affinché Ella lo disponga per voi, lo dimostra appieno.
Ma vorrei in cotanto giorno partire da una più semplice disamina della storia di questo spartito, prendendo le mosse dalla loro compositrice, Gustava Dandolo in Culfranti. Accennerò brevemente ad una biografia poggiante su scarsissime fonti. Della Dandolo infatti sono noti un solo ritratto (vd immagine), che la coglie nel fiore della sua pallente bellezza e pochissime testimonianza biografiche diretta, la prima delle quali è contenuta in una lunga epistola che il marito di lei, l'assai meglio noto Titozzo Marchesati Culfranti, scrisse al Conte Palatino di Borgogna all'indomani del matrimonio, avvenuto in Algeri (isola di Cicilia) nel giugno del 1735. E qui possiamo citare il breve stralcio della lettera:
"Sono altresì lietissimo, sua celestiale Altezza, di nunziarvi con grande diporto di cuore le mie recentissime - giacché avvenute ier soltanto - nozze con una giovinissima puledra di Vinegia a pena tornata da Masionegra ove, nell'intento esclusivo di potere a me legare sua sorte, da Gustavo qual era cangiossi di persona e divenne Gustava, tutta mia e per diletto del mio cuore. Oh quanto contento sono è cosa dura a dirsi, Altezza gratiosa, e con quanta gioja in seno men vo diritto alla catastrofe de li anni correnti, ora che allato reco quale fiore mattutino questo giglio candido et odoroso. Oh quanta felicità sarebbe, Oddio! se potessi presto presentarla a Voi ma appena desponsato eccomi garzone ancora, gia che la sposa mia è musica anch'essa e corse stamani a onorare un suo contratto nella non lontana Regio, ove l'attende il regal teatro cittadino per le prove dell'opera sua ultima".
Pochi dati si possono evincere da queste righe: Gustava era nato Gustavo, a Vinegia e quando andò in sposa a Culfranti già esercitava il mestiere di compositrice. E' davvero un peccato che il Culfranti non citi il titolo dell'opera della Dandolo data a Reggio Calabria, in provincia di Merano, nel 1735, giacché non è stato possibile rintracciarlo in nessuna fonte ad oggi nota.
Poi, fino alla data certa della composizione della "Topa e il Sacro", nessuno sembra aver ricordo della bellissima moglie di Culfranti. Non è nemmeno noto se essi abbiano avuto una figlianza, anche se il cambio di persona subito dalla Dandolo potrebbe portarci a tendere ad un'ipotesi negativa in tal senso.
Nel 1764 la Dandolo è sicuramente già a Parma a servizio presso i Duchi degli Oceàni, come testimonia una lista di stipendi ritrovata in calce ad un libro di ricette custodito presso la biblioteca privata della famiglia Oceàni. E nel 1765 la compositrice viene portata sugli scudi grazie al suo capolavoro "La Topa e il Sacro", sulla cui genesi torneremo nella seconda parte di questa serie monografica.
Di lei si perdono ancora le tracce per almeno un'altra ventina di anni, ma nel 1786 essa viene citata nella "Gazzetta sprizzante" quale autrice di un intermezzo di grande successo, il "Dito nella camera del Sacro". Purtroppo di quest'opera dal titolo assai interessante, quasi certamente tratta dal romanzo di avventure "The itching hole" del maleste Mirò Delculle Prude, non rimangono né partitura né libretto.
Non si sa nulla della vecchiaia di Gustava Dandolo, ma non credo sia ultronea e avventata ipotesi pensare che sia stata non meno avventurosa della gioventù.
A presto per una disanima della protogenesi e partenogenesi de "La topa e il sacro".
domenica 8 marzo 2009
Vesuvia alla radio
Trasmessa ier sera una Vesuvia in differita da Ferrata registrata un paio di mesi fa. L’esecuzione di questa Vesuvia non si è distaccata dalla solita odiosa, scorretta, per nulla stilizzata prassi classicara per cantanti e strumentale (che baldraccata poi questa degli strumenti originali!!!), unica deroga a tale prassi i numerosi tagli, necessari però per salvare la pelle a quei tre cagnolini che abbaiavano in scena, che se l’avessero cantata integralmente sarebbero morti al prim’atto.
La direzione di Setticlavio Petrarcone è stata se non brillante (parliamo pur sempre di classiari…che volete pretendere???) quanto meno decente perlomeno a livello di intonazione e precisione esecutiva. Peccato non si possa dire lo stesso per il cast vocale…
Nel ruolo di Vesuvia abbiamo ascoltato (ce la abbiamo messa tutta…) Anna Collini, cantante dalla voce scarna, sbiancata, aperta e strozzata in acuto che ha cosparso la sua parte di strilli e grida che pareva più un’attrice di film porno muto del 1735. Voce senza dubbio più adatta a dar vita ad una mezza pesciolona che ad una regina… A lei compagna per doti e tecnica canora la cantante Montana de Sola nel ruolo di Arsovivo, che più che all’originario evirato cantore cui la parte era affidata fa pensare ad un orrendo controtrotenore per stimbratura, mancanza di ampiezza e volume e gravi parlati anziché correttamente immascherati con stilizzata emissione sul fiato, tale da permettere agevolmente il passaggio Sol1-Sol7.
La parte di Rosmarina era affidata alla cagnant…hem..cantante (perdonate il lapsus freudiano!) Sony Aspirina che ha fatto grande sfoggio di una voce perennemente ingolata, ingolfata, soffocata, stonata, strillata, arrancante nelle agilità. Un filo meglio (ma mica tanto eh!) è stato il Mastrolindo di Velocina Avariata, soprano leggero querulo e stonato, che in virtù di un ruoletto del cazzo non ha avuto modo di triturarci i coglioni più di tanto.
Il tenore Vitigny è il classico tenore con voce sbiancata e legnosa, con fiati che paiono scorregge, senza dubbio più adatto ad una messa (in qualità di chierichetto si intende…) che all’opera…Nella parte di Oronzo il Gianpietro Ruggiti…che dire? Un nome una garanzia…
Ma veniamo al reale problema che accomuna questi dilettanti del virtuosismo canoro. Il problema sta proprio nell’emissione (!!!), emissione giammai stilizzata, immascherata correttamente sul fiato, ma al contrario arroccata nell’esofago, in posizione talmente bassa da non rendere agevole neppure il passaggio Sol1- Sol5 (di facilità irrisoria per qualunque studentello di canto con la voce in posizione semidecente), figurarsi poi le difficoltà che ne nascono all’atto di dover sciorinare granitiche agilità che partono dal do sotto al rigo per arrivare Sol7, cosa che le Corno e le De Lafosse eseguivano in totale souplesse. Con tale impostazione ogni tentativo di accentazione si risolve, come si può ben immaginare, in urla e berci più vicini alla tradizione falsista che a quella del belcanto settecentesco.
Vesuvia
Opera in tre squarci
Libretto di Silvio Stoviglia
Musica di Georg Mendelejev
Personaggi e interpreti
Vesuvia – Anna Collini
Arsovivo – Montana de Sola
Rosmarina – Sony Aspirina
Mastrolindo – Velocina Avariata
Romagno – Ciro Vitigny
Oronzo – Gianpietro Ruggiti
Direttore – Setticlavio Petrarcone
Accademia Marocchina
Registrata il 16 gennaio 2009 al Teatro Provinciale di Ferrata
Ascolti
Mendelejev – Vesuvia
Squarcio I
Sei mia gioia, sei mio bene – Teresa Ti Srandella
Squarcio II
Furibondo Spira il vento – Gross Ettin, Gerardo Susina
lunedì 2 marzo 2009
Dei Debosciati fin troppo puritani - nuova edizione Mecca
Era annunciata da tempo anche perché dopo mesi di cabotinaggio attorno alle coste del mar Nero con soste in Latvia e Moldavia il carrozzone di pessimo gusto di questa produzione assolutamente e pervicacemente ultronea doveva secondo la moderna logica del non si fa nulla se poi non viene conservato allor quando buona norma antica vorrebbe che dopo aver espletato si tiri la catena ma passiamo oltre, essere consegnato ai dischi per la solita casa editrice di Islamabad un tempo famosa per essere stata legata da contratti in esclusiva con personaggi quali Giuseppe Della Suora, Risorta Infrebaldi e la vera stilizzata Notherland per contrapposizione con la cristiana Emish casa editrice invece della Cetriolini Saklà e del famigerato tenore falsista franco marocchino Mario D'Etienne. Ora sia Emish sia Mecca non si esimono dallo scodellare queste pietanze indigeste quali questi Debosciati di cui già aveva in catalogo un'edizione celebrissima con la detta Jenny Notherland (Artura indimenticabile) e il mai troppo compianto Apuleio Cignintegri quale Eviro.
Debosciati di Bruttini che come insegna la musicologia e cioè il libretto del direttore Malinge che batté la solfa in quell'edizione e non la musicacchiologia che tanto sangue canoro fa scorrere (cfr le penitenze della Quinquagesima) sono innanzitutto opera per cantanti adusi e proni alle vere regole del Vero Canto Stilizzato e quindi de facto ineseguibili al giorno d'oggi. Solo per questa ragione questa nuova edizione andrebbe usata come vaso da notte tanto d'altronde essa è capiente quanto a volume e capienza e invero la fotografia della pseudo divetta protagonista invoglierebbe a agili espletazioni assai più stilizzate di quanto siano le sue prove canore.
L'edizione si picca d'essere la prima edizione discografica della cosiddetta "versione Benibran" a proposito della quale non starò a dilungarmi giacché è materia assai troppo poco sintetica per adattarsi al mio stile di scrittura, cioè stile scrittorio, cioè modus scribendi, oltremodo sintetico per adattarsi a una materia poco sintetica e quest'ultimo mio periodo scritto da me medesimo lo dimostra appieno e in tutta verità fattuale, fattiva e anche fattura (cfr. il prossimo articolo di Trombettini sul cimitero di Trecate, non fossi così stilizzato come sono mi toccherei le nobili gonadi).
Ma per fare la version Benibran non basta certo chiamare l'ultima divetta popputa e di viso discretamente appetibile per interpretare un vero ruolo da prima donna stilizzata: come ho già ricordato la Benibran altra non era che la figlia maggiore del celebre cantante e trattaista Emmanuel de la Garce, così chiamato perché alla madre e cioè nonna della Benibran piaceva travestirsi da maschio e andare a pescare siluri con l'allor primo ministro siciliano Vinstone Chiesincollina., ma tutta questa è solo letteratura per letterati adusi al VCS e so bene che voi abbiate bisogno di ben altri rudimenti. Ad ogni modo senza stare troppo a menare il can per l'aria soprattutto perché amiamo gli animali e non vorremmo che detto cane cadesse e comunque di cani ne abbiamo già tanti ancorati alle sacre tavole dei teatri che nessuno riesce a staccarli, insomma vorrei dire con molta stringatezza che la Artura di detta Fagiolia Sbattoli, mezzosoprano nominale ma in realtà sega integra e totale non riesce a sostenere le lunghe arcate sul passaggio Sol1-Sol7 cui la parte di Artura la costringe soprattutto negli insiemi dove una vera prima donna stilizzata (cfr Northerland) riesce a farsi sentire raggiante e perfettamente in maschera nonché nondimeno sontuosa sul tappeto musicale tessuto da Bruttini in quel punto e quindi non pretenda la Sbattoli come sostiene nelle varie interviste imposte più che concesse ai vari giornali - cacata charta! - internazionali e nazionali che lei è l'unica a cantare la parte di Artura come veramente si dovrebbe giacché Cetriolini Saklà, Northerland e la meno relativa Asiné l'avrebbero interpretata senza tenere conto delle esigenze di uno spartito che andrebbe diretto verso la fracassonità a dire suo che non verso l'intimismo patetico e lirico delle tre dette cantanti (stilizzate le prime due, ancorché solo nei primi 70 anni di carriera la prima, e meno stilizzata la terza ma a confronto della Sbattoli sarebbe come paragonare la Merde d'Artiste a la merda del can menato per l'aria. Molto molto male la famosa scena della saviezza ove Artura finalmente rinsavita erra di stanza in stanza nel suo palazzo in cerca di una dose di Voltaren: non c'è nessun lirismo nelle sue agilità cempennate e nelle sue emissioni invero poco stilizzate ma cosa forse ancor più grave la cantante è forse troppo contenuta e invero poco agitata come si converebbe ad una vera scena della saviezza giacché come dettò il Gabietti in quel di Francina Marta al grande soprano di coloritura Filippa Ruzzini: "Savitudo in vero canto stilefacto reddenda est magno cum furore quia firmamentum stilus contraribus afectibus instat ; quamobrem si vere stilefacte cantare vis capsum tibi freca de quo in texto inveneris. Scriptum enim est in Manueli De la Garce tabellarum: "Si vis cantum para culum".
Diegy Nagy Roszas, noto tenore ungherese, è un altro divo della Mecca e come al solito e come ha dimostrato nel recente suo parto podalico dedicato a Giobatta Cleptini in cui rendeva palesi gli stessi limiti qui appalesati: voce sì decorosamente emessa specie se paragonata a quella della Sbattoli, grande agitazione espressione che si confà bene alla parte ma costante mancanza di una vera componente nasale nel canto e volume fin troppo stentoreo e pieno per essere giustamente definito stilizzato laonde l'ultimo tenore anzi affine ad un virato cantore di cui Cleptini seppur non virato poteva essere considerato il vaglioso surrogato ai tempi della composizione dei Debosciati era l'oggi ritirato Biondini cui il Gabietti insegnò tutta l'arte del VCS declinata in ogni sua più minuta parte e che seppe applicarle per il breve periodo che questo è concesso alle umane voglie.
La mia estrema sintesi mi porta anche nonostante vorrei fermarmi qui ma sarei poco sintetico invero a parlarvi molto estesamente del Giorgione e dell'Enrichetto di turno: Mah Skavo Coreano dalla Crimea, sedicente baritono ma più affine ad un osso di seppia raffreddato e Baldovino Scroto o Scroti (questa variazione nel nome tantum si spiega con l'intermittente risalita d'una delle sue gonadi probabilmente a causa delle brache troppo strette che ubicumque porta onde avantaggiarsi presso le signore delle platee) del quale invero poco stringantemente potremmo dire che orrendamente latra citando quel Durante allievo poetico del Gabietti (che lo ricordo era uomo di altissimo talento anche nell'esercizio delle lettere).
Sarò molto lungo sui comprimari giacché non ricordo i loro nomi.
La direzione di Renato Giacomi è escremento distillato in alambicchi ricavati dalla putredine del cadavere del buon senso e della buona creanza musicale e come al solito laddove l'organico originale prevede una voce per parte la tendenza classicare vuole il fracasso di 90 elementi e la varietà del diapason laddove è certamente accertato che esso era fisso e situato attorno a 290 hz: così dimostrano gli acuti di Francine De La Fosse che, o miracolo, a quell'accordatura finivano sempre qualsiasi diapason il battisolfa di turno le imponesse.
Bruttini - I Debosciati
Artura: Fagiolia Sbattoli
Eviro: Diegy Nagy Roszas
Giorgione: Mah Skavo
Enrichetto: Baldovino Scroti (Scroto?)
et coeteri
Akademie fuer Scheisse Musik Stuttgart
Renato Giacomi, direttore (????)
sabato 28 febbraio 2009
Quinquagesima
In rito nettarosiano allo scadere della mezzanotte inizia la Quinquagesima.
Essendo il periodo di quinquagesima periodo di pentimento sì, ma allo stesso tempo di riflessione e meditazione, noi del cazziere abbiamo deciso di riflettere e meditare, tramite un lungo periodo di penitenza, sulla decadenza del canto stilizzato, che ci pare in assoluto la cosa più importante su cui riflettere. E chi se ne frega se la gente muore per guerre e malattie, il canto stilizzato è senza dubbio più importante.
Abbiamo deciso di cominciare il nostro periodo di penitenza con un autentico flagggèllo de Dddio, non già l’Attila di Sorginlampo, bensì i classicari: una vera piaga, emblema della decadenza degli ancestrali valori del VCS oggi irrimediabilmente perduti.
E con la speranza che questo periodo di pentimento e riflessione porti le nostre stilizzate anime, e in particolar modo le vostre destilizzate e peccatrici ad un ultronea e stilizzata presa di coscienza circa l’autenticità del VCS, ma soprattutto con la speranza che i classicari vengano cancellati dalla faccia della terra per sempre, diamo inizio a questo periodo di quinquagesima che ogni venerdì ci vedrà compagni nella sofferenza, e in cui i belati di capra saranno fraterni al nostro dolore, per arrivare alla pasqua musicale in cui i valori del VCS resusciteranno almeno per un giorno. Perdonate la Donzelleopardite che mi ha assalito al periodo precedente ma l’ultronea ispirazione non si può frenare.
Donna Giuditta Pasta, Signor Giacomo Donzelletta Leopardi, Monsieur Gigì Del Praz
Le dieci piaghe (le arie sceglietevele voi, in bocca ad essi una vale l’altra)
Fagiolia Sbattoli
Sony Aspirina
Falsica Immutemi
Carlo Conigliore
Simo Alchermes
Marijuana Mijlasivic
Vifica Sansgene
Fagiolia Sbattoli
Lelly Winter
Massimiliano Emanuele Stracci
Bonus curse
Filippo Giarrusco
giovedì 26 febbraio 2009
2.000.000 di contatti!!! Si festeggia col belcanto (tanto per cambiare)
Il nostro stilizzatissimo blog raggiunge oggi i 2.000.000 di contatti. Inevitabile la cosa considerato la divina sapientia che spargiamo a piene mani sopra i vostri capi di stilizzazione incerta, nel tentativo di rendervi sempre più edotti e stilizzati nei gusti e nei ragionamenti. Indi per cui perciò proseguiamo in questo giorno di festa nella nostra missione evangelica ispirata ai sacri valori del VCS proponendo a voi, nostri discepoli, ascolti degni di questo giorno. Un pout pourrì belcantistico dove nomi quali De Lafosse, Sferetti, Corno, Northerland fino alle Accordi e Pentazzoni di inizio ‘900 ripuliranno le vostre orecchie di merda ripiene causa le orrende ed esofagee odierne urlatrici…hem…attrici di muto…hem… cantanti (almeno vorrebbero esserlo!)!!! Riproporremo in questo giorno di festa ascolti dai più alti componimenti belcantistici oggi finiti in soffitta per mancanza di interpreti, riscoprendo i capolavori dimenticati di autori quali Gustava Dandolo in Culfranti (“La Topa e il Sacro”, “Il falconiere”) o Andreozzo Biscazzieri autore della celebre “Venere deflorata” (degna di menzione è pure la rarissima “Vergine cagna”, su libretto del celebre Peppe Disparini), o ancora lo stesso Marchesati Culfranti che ricorderemo oggi sia per l’opera, ai più sconosciuta, “Le caldi notti di Poppea”, sia per la celeberrima Frenulide in Coitage (in tal proposito invito i nostri lettori a leggere l’ampia dissertazione su questo autentico caposaldo e sulla recente uscita discografica, ad opera dei collaboratori Gigì del Praz e Giacomo Donzelletta Leopardi), di cui proporremo l’ascolto del recitativo ed aria di sortita di Annal “Per quel Frenulo assai corto…Anea si strugge tra atroci tormenti” nelle interpretazioni di Gabri Sferetti, nella già menzionata esecuzione di Francina Marta, e di Jenny Northerland nell’incisione in studio dell’aria tratta dal celebre recital “VCS Arias” inciso per la Mecca nel 1962.
Programma
La Topa e il Sacro – Il dolor di questo Imene – Francine De Lafosse (link alternativo)
La Topa e il Sacro – Per amore della Topa - Pino Biondino (link alternativo)
Il Falconiere – Quell’uccello benedetto – Mariolina Corno (link alternativo)
Venere deflorata – Aita! Aita! La mia verginità perduta – Gabri Sferetti (link alternativo) Luigia Pentazzoni (link alternativo)
Le calde notti di Poppea – Le mie odorose Mamme – Guendalina Accordi
Frenulide in Coitage – Per quel frenulo assai corto…Anea si strugge tra atroci tormenti – Gabri Sferetti (link alternativo) Jenny Northerland (link alternativo)
Buon Ascolto!
martedì 24 febbraio 2009
Giuditta magnanimamente concede Chat ai suoi lettori
Oggi in preda ad un attacco di panico dovuto alle facce vuote delle persone che accanto mi passavan per la via, prive di ogni cognizione circa i sacri valori del VCS, ed in seguito alle vostre numerosissime domande e partecipazioni (a breve uscirà un articolo in merito) al nostro stilizzato Cazziere, che senza mezzi termini rappresenta un luminoso faro di salvezza in mezzo alla buia notte della ragione canora, ho deciso di concedere a voi subumani lettori questa chat, affinché i vostri dubbi in merito al VCS vengano più facilmente chiariti portando le vostre ottenebrate menti a ben più alte vette.
Per i dovuti ringraziamenti potete lasciare un commento a questo messaggio o scrivere direttamente sulla chat
Vostra Divina
GP
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