L'esimio, sacerrimo Gabbietti in un suo illuminante saggio ebbe a dire "Topa et sacrum est apex toti canti stilefacti, gurgis animae famulantis in eo", e qui potremmo fermarci, stimatissimi lettori, nel descrivere quella che per noi veri estimatori del Vero Canto Stilizzato è quasi il sacro Graglio dell'arte, la vetta irragiungibile di un sapere che pur appartenendo a mondi non accessibili senon alla divina Pasta e al suo paredro Donzelletta, riusciamo comunque a vedere delinearsi dietro il velo della nostra ben disposta ignoranza.
La recente scoperta ad opera del noto critico avanguardonista Herrera José dello spartito della "Vulva e il Coccige", creduto disperso da ormai più di trecento anni, ci ha spinti a riconsiderare uno spartito che per anni, pur ferma rimanente la sua gloriosa ubertà musicale in materia di stilizzatezza, passava per semplice rifacimento. Ma così non è, e il confronto tra i due spartiti, che presto deporrò ai piedi della divina Pasta affinché Ella lo disponga per voi, lo dimostra appieno.
Ma vorrei in cotanto giorno partire da una più semplice disamina della storia di questo spartito, prendendo le mosse dalla loro compositrice, Gustava Dandolo in Culfranti. Accennerò brevemente ad una biografia poggiante su scarsissime fonti. Della Dandolo infatti sono noti un solo ritratto (vd immagine), che la coglie nel fiore della sua pallente bellezza e pochissime testimonianza biografiche diretta, la prima delle quali è contenuta in una lunga epistola che il marito di lei, l'assai meglio noto Titozzo Marchesati Culfranti, scrisse al Conte Palatino di Borgogna all'indomani del matrimonio, avvenuto in Algeri (isola di Cicilia) nel giugno del 1735. E qui possiamo citare il breve stralcio della lettera:
"Sono altresì lietissimo, sua celestiale Altezza, di nunziarvi con grande diporto di cuore le mie recentissime - giacché avvenute ier soltanto - nozze con una giovinissima puledra di Vinegia a pena tornata da Masionegra ove, nell'intento esclusivo di potere a me legare sua sorte, da Gustavo qual era cangiossi di persona e divenne Gustava, tutta mia e per diletto del mio cuore. Oh quanto contento sono è cosa dura a dirsi, Altezza gratiosa, e con quanta gioja in seno men vo diritto alla catastrofe de li anni correnti, ora che allato reco quale fiore mattutino questo giglio candido et odoroso. Oh quanta felicità sarebbe, Oddio! se potessi presto presentarla a Voi ma appena desponsato eccomi garzone ancora, gia che la sposa mia è musica anch'essa e corse stamani a onorare un suo contratto nella non lontana Regio, ove l'attende il regal teatro cittadino per le prove dell'opera sua ultima".
Pochi dati si possono evincere da queste righe: Gustava era nato Gustavo, a Vinegia e quando andò in sposa a Culfranti già esercitava il mestiere di compositrice. E' davvero un peccato che il Culfranti non citi il titolo dell'opera della Dandolo data a Reggio Calabria, in provincia di Merano, nel 1735, giacché non è stato possibile rintracciarlo in nessuna fonte ad oggi nota.
Poi, fino alla data certa della composizione della "Topa e il Sacro", nessuno sembra aver ricordo della bellissima moglie di Culfranti. Non è nemmeno noto se essi abbiano avuto una figlianza, anche se il cambio di persona subito dalla Dandolo potrebbe portarci a tendere ad un'ipotesi negativa in tal senso.
Nel 1764 la Dandolo è sicuramente già a Parma a servizio presso i Duchi degli Oceàni, come testimonia una lista di stipendi ritrovata in calce ad un libro di ricette custodito presso la biblioteca privata della famiglia Oceàni. E nel 1765 la compositrice viene portata sugli scudi grazie al suo capolavoro "La Topa e il Sacro", sulla cui genesi torneremo nella seconda parte di questa serie monografica.
Di lei si perdono ancora le tracce per almeno un'altra ventina di anni, ma nel 1786 essa viene citata nella "Gazzetta sprizzante" quale autrice di un intermezzo di grande successo, il "Dito nella camera del Sacro". Purtroppo di quest'opera dal titolo assai interessante, quasi certamente tratta dal romanzo di avventure "The itching hole" del maleste Mirò Delculle Prude, non rimangono né partitura né libretto.
Non si sa nulla della vecchiaia di Gustava Dandolo, ma non credo sia ultronea e avventata ipotesi pensare che sia stata non meno avventurosa della gioventù.
A presto per una disanima della protogenesi e partenogenesi de "La topa e il sacro".
La recente scoperta ad opera del noto critico avanguardonista Herrera José dello spartito della "Vulva e il Coccige", creduto disperso da ormai più di trecento anni, ci ha spinti a riconsiderare uno spartito che per anni, pur ferma rimanente la sua gloriosa ubertà musicale in materia di stilizzatezza, passava per semplice rifacimento. Ma così non è, e il confronto tra i due spartiti, che presto deporrò ai piedi della divina Pasta affinché Ella lo disponga per voi, lo dimostra appieno.
Ma vorrei in cotanto giorno partire da una più semplice disamina della storia di questo spartito, prendendo le mosse dalla loro compositrice, Gustava Dandolo in Culfranti. Accennerò brevemente ad una biografia poggiante su scarsissime fonti. Della Dandolo infatti sono noti un solo ritratto (vd immagine), che la coglie nel fiore della sua pallente bellezza e pochissime testimonianza biografiche diretta, la prima delle quali è contenuta in una lunga epistola che il marito di lei, l'assai meglio noto Titozzo Marchesati Culfranti, scrisse al Conte Palatino di Borgogna all'indomani del matrimonio, avvenuto in Algeri (isola di Cicilia) nel giugno del 1735. E qui possiamo citare il breve stralcio della lettera:
"Sono altresì lietissimo, sua celestiale Altezza, di nunziarvi con grande diporto di cuore le mie recentissime - giacché avvenute ier soltanto - nozze con una giovinissima puledra di Vinegia a pena tornata da Masionegra ove, nell'intento esclusivo di potere a me legare sua sorte, da Gustavo qual era cangiossi di persona e divenne Gustava, tutta mia e per diletto del mio cuore. Oh quanto contento sono è cosa dura a dirsi, Altezza gratiosa, e con quanta gioja in seno men vo diritto alla catastrofe de li anni correnti, ora che allato reco quale fiore mattutino questo giglio candido et odoroso. Oh quanta felicità sarebbe, Oddio! se potessi presto presentarla a Voi ma appena desponsato eccomi garzone ancora, gia che la sposa mia è musica anch'essa e corse stamani a onorare un suo contratto nella non lontana Regio, ove l'attende il regal teatro cittadino per le prove dell'opera sua ultima".
Pochi dati si possono evincere da queste righe: Gustava era nato Gustavo, a Vinegia e quando andò in sposa a Culfranti già esercitava il mestiere di compositrice. E' davvero un peccato che il Culfranti non citi il titolo dell'opera della Dandolo data a Reggio Calabria, in provincia di Merano, nel 1735, giacché non è stato possibile rintracciarlo in nessuna fonte ad oggi nota.
Poi, fino alla data certa della composizione della "Topa e il Sacro", nessuno sembra aver ricordo della bellissima moglie di Culfranti. Non è nemmeno noto se essi abbiano avuto una figlianza, anche se il cambio di persona subito dalla Dandolo potrebbe portarci a tendere ad un'ipotesi negativa in tal senso.
Nel 1764 la Dandolo è sicuramente già a Parma a servizio presso i Duchi degli Oceàni, come testimonia una lista di stipendi ritrovata in calce ad un libro di ricette custodito presso la biblioteca privata della famiglia Oceàni. E nel 1765 la compositrice viene portata sugli scudi grazie al suo capolavoro "La Topa e il Sacro", sulla cui genesi torneremo nella seconda parte di questa serie monografica.
Di lei si perdono ancora le tracce per almeno un'altra ventina di anni, ma nel 1786 essa viene citata nella "Gazzetta sprizzante" quale autrice di un intermezzo di grande successo, il "Dito nella camera del Sacro". Purtroppo di quest'opera dal titolo assai interessante, quasi certamente tratta dal romanzo di avventure "The itching hole" del maleste Mirò Delculle Prude, non rimangono né partitura né libretto.
Non si sa nulla della vecchiaia di Gustava Dandolo, ma non credo sia ultronea e avventata ipotesi pensare che sia stata non meno avventurosa della gioventù.
A presto per una disanima della protogenesi e partenogenesi de "La topa e il sacro".
celeberrimo e leso Gigì, l'emozione che mi permea nel leggere alquancosa sui ritrovamenti di spartiti spariti è così emozionante che mai cesso (scusi il termine) di emozionarmi!
RispondiEliminaRiguardo alla Topa e il Sacro vorrei porre l'attenzione sul fatto che il primo spartito della Topa risale al 1734 (fa fede il timbro siae) quando la baronessina Mona Monda di Saliceto Terme, in provincia di Abano, volle a tutti i costi cantare la parte di Topa.
Mona Monda, così chiamata per i baffi, aveva un estensione vocale sopra la media, essendo in grado di coprire dal Do sotto al rigo al sol7 alla terza virgola tre periodico, che permeò di visibilii la platea essendo che Mona fu capace di cantare la grande aria di paragone "Su uno scoglio Mona resta mentre Topa è sempre desta" con una facilità invidiabile e dovuta solo al grande grado di stilizzazione pervenuto dopo anni e anni di studio.
Mona e la Topa proseguirono il fortunato camino per ben dieci anni dopo il 1734, ma nel gennaio del 1735 la Topa subì dei tagli e delle variazioni che la portarono allo stato attuale facendole perdere quel fantastico allure e quell'esprit così parigino che tale spartito aveva sempre avuto.
Mona Monda si ritirò in convento sentendosi defraudata della Topa e morì vergine nel 1738, lasciando tutti i suoi averi al figlio Rat Mousquè, conte di Lapinambur (uno stilizzatissimo cantante gay che erroneamente credeva di essere controtenore)
Dal giorno della morte di Mona Monda a tutt'oggi la Topa e il Sacro ha vissuto una abbagliante storia pregna e feconda di successi.
Vulva e Cogccige fa parte di questo filone romanzesco di cappa e spada dove Vulva e la cappa e Coccige è la spada.
Attualemnte mi occupo dei paralleli paradigmatici su Espada Escamillo conte di Granada e Espada Coccige, stilizzatissimo pseudo contraltista noto nel 1748 con il nome di Linda Evangelista.
Ma di questo le parlerò a breve.
Ossequi e complimenti per il ritrovamento.
Suo
Diliberto Elenio Herrera Josè
Caro Diliberto, che piacere rileggerla nonostante qualche grossolana imprecisione, assolutamente comprensibili in una mente in via di stilizzazione come la sua. In ogni caso tra qualche giorno uscirà sul nostro cazziere un articolo in merito alle fonti de "La Topa e il Sacro" ad opera del nostro Gigì del Praz.
RispondiEliminaA presto
GP