giovedì 16 settembre 2010

I Fioretti di Santa Magdi - prima sequenza

So che quasi vi troverete male dalla gioia profonda che questo articolo di sublimi e sticatissimi contenuti vi saprà donare. Ricevo e pubblico, non senza una certa emozione (ebbene sì, anche io mi commuovo), i fioretti preziosissimi di Madonna Magdi Allamvero, detta Santa Magdi per la grande dolcezza dei suoi sentimenti. Ecco a voi dunque, discepoli ingrati del VCS, i vaticini prodigiosi della grande falsista stilizzata.

Incipiunt dicta Dominae Magdi Allamverae, collecta per augustissimam Dominam Iudit Pastam modo audiendi et interpretandi.

Oggi carissimi amici del Cazziere, cui voglio tanto bene, vero... vorrei parlarvi di quando ho debuttato al Teatro Tramway [detto anche Metropolitano, a seconda del grado d'elevazione in cui si trova nel determinato momento storico, ndr.] della Nuova Avana. Correva se non ricordo male un anno preciso, ma poco importa, vero... Io non ero mai stata alla Nuova Avana perché il suo allora sovrintendente, Infido Incastro, non voleva di me, adducendo il preteso, vero, del tutto falso che io avrei infinocchiato i suoi soldati con il mio canto. Non so bene che intendesse, vero, con quella parola "infinocchiato", ma questo è quanto mi riportò il tenore Giuseppe Della Suora con il quale incisi per la Mecca un mio cavallo di battaglia, la Deodora del grande Vittorio Emanuele Gange.

A tal proposito ricordo che il povero Della Suora, vero... che aveva questa grande voce stentorea ma non riusciva a piegarla alle esigenze dello spartito... perché vedete, cari, vero... la parte di Ascelloris, nella Deodora, richiede anche quelle lievi ondulazioni, specie nelle scene di contatto con Deodora, e io mi ricordo che come al solito, vero... riuscivo a cantare tutti i pianissimi, e per cantare i pianissimi bisogna immaginare la nota che scende giù piano piano, e allargare, e insomma, vero... per me era facilissima, ma il povero Della Suora non ci riusciva, poverino, quanto l'ho compatito... Che bei momenti!

Ma insomma dicevo che Incastro non mi voleva al Tramway, che allora mi sembra fosse del tutto metropolitano, e allora alla fine per rialzarlo questo teatro, e mi consenta, vero... per salvaro, chiamarono me. Mi hanno detto sia stata la cara Mariolina Corno a presentare il mio nome a Incastro, ma mi sembra una storia inventata così, quasi per rimettere in questione la mia fama mondiale. E allora andai per cantare l'Attosca di Intiggini, e fu un vero delirio. Avevo all'incirca una trentina d'anni, circa il doppio di ora, e davvero mi sentivo una ragazzina, vero... Che bei ricordi, il pubblico in delirio, ed io che tutta umile, come sono solita, vero... mi prostravo a ricevere petali di rosa sul bel volto nel fiore degli anni.

Ma vorrei con più ardore parlare della Piedin Lesbò, dello stesso mastro Intiggini, nella quale riportai un personalissimo, vero... trionfo all'arena comunale di Zevio. Chi era il tenore, vero... Forse Borromeo Bruttibuddini, quel caro Borromeo, m'hanno detto che sta poco bene, poverino, vero... come compatisco, poverino... O forse era Scatenato Sabatingo... Ma poco importa, infondo. E insomma fu un trionfo senza pari, del quale quasi mi sono stupita, sapete, troppa umiltà fa perdere il contatto con il vero, vero...

Ad ogni modo ricordatevi, cari lettori, che la tecnica è una sola per il cento, il duecento, l'ottocento e il tremila, e io modestamente quella tecnica la nacqui, ecco tutto, vero...

Nell'Attosca ad esempio, quando lei sta per attoscare il pappone Carpa, che vuole intrattenersi con lei mentre ha condannato a sei mesi d'astinenza il bel Giuseppe, ebbene, vero... Intiggino ha scritto queste progressioni, che se non vengono risolte con grandi archi di fiato, ebbene la voce va tutta indietro e ne soffre tantissimo.

Ecco questi piccoli consigli hanno fatto di me la Magdi che tutti conoscete, e che sono ancora nonostante i miei 15 anni di età. 15 netti netti, come dice la Signora Mosca del Burro.

Ora vi devo lasciare perché mi aspetta un corso di aquagym tonificante a Rapolano Terme, dove cantai nel prestigiosissimo teatro un'indimenticabile Rigida di Azzurri. Ah, come facevo io la risata nella prima aria, così come la voleva Azzurri e così come l'ha scritta chiare lettere nello spartito...

Un augurale abbraccio dalla vostra devotissima,

Magdi.



mercoledì 8 settembre 2010

Mezze seghe a chi? Arcangela Pucci


Come me lo ha richiesto il grande nostro estimatore, ma non è nemmeno farci troppa grazia essere nostri estimatori giacché la stima è cosa naturale ove apportata alla nostra grandissima levatura di persone e di cognoscitori dell'arte del canto, cosa che tra tutte maxume è colenda tra le scienze e senza dubbio alcuno unica finalità d'una vita ben spesa, sicché caro Natale anche se non sa infilare due subiuntivi ed è privo, al contrario del sottoscritto medesimo, di una consecutio modale e temporale degna dei più grandissimi scrittori d'ogni favella, ebbene sappi lei che nonostante ciò e forse anche a detrimento lei ci sta molto simpatico, e non ce lo staresse di più se sarebbe più colto al pari di me e della divina Pasta.

Dunque per fare un grande piacere a Natale, che senz'altro ci sarà grato, ecco il ritorno di una rubrica che molto piacque a tutti e che ora ripropongo, e non mi è difficile perché la mia conoscenza delle cantanti d'una volta è tale che pur senza averne sentito la maggior parte in teatro dato che per chissà quale strana ragione, ma forse perché sono ancora un po' giovane, ho uno strano gap, come dicono i sassoni, tra l'ascolto delle oltremondane dive del 'tecento e le divine De Lafosse (sia sempre lodata) e Sferetti, ma comunque vi parlerò sulla scorta delle registrazioni in nostro possesso, e le possiedo tutte, ma proprio tutte in tutti i formati audiotelevisivi e oltre possibili e potenziali.

E vi parlerò dunque di Arcangela Pucci, cantante singolare soprattutto per il fatto che a più di x-vanta anni dimostra meno anni di quando aveva vent'anni e quasi quasi è più appetibile ora che non illa die quando debuttò nel lontano 1859 (o forse 1959, ma importa assolutissimamente poco come disse quel borgognone d'un guascone caro, e raro amico, Diliberto Herrera, hidalgo giovialissimo) nella Zigarata di Intiggini, nel ruolo della prezzemolina Titì. Le cronache parlano d'una giovane non troppo aitante ma dalla voce alta nella maschera (e le maschere ancora se ne ricordono come faceva risuonare la sua voce dentro di loro quasi emettendo i suoni all'altezza delle loro rocche petrose e pareti occipitali tanto da costringerli poi a doversi far fare una volgarmente detta pera di aspirina) che poi avrebbe trionfato, sempre in ascensore, in opere di stampo falsista come la Vecchiaccia Orientale, dello stesso Intiggini (seguito mal riuscito della Fanciulla Maniscalca del vero stilizzato Franz de Pallen, grande cavallo di battaglia, lo rammento, della superna Marfesina Puledrotti), o come la Signora Mosca Del Burro, sempre del porcarese Intiggini, ma anche il melodrammone in stile alberghiero Hotel O di Azzurri, nella parte da grande tragediana di Te-sé-Mona, grande lavoratrice tailandese fatta morta per strangolamento dal suo prosseneta per il suo troppo amore del cassio.

Ma la Pucci s'esibì in ben altre opere di ben altra stilizzazione, opere da vero VSD, con tutti i sacri clismi della STICA, benché non arrivò mai ad un vero e proprio CASTA DIVA forse più per esagerata morigeratezza che non per non reali capacità. Ricordo che la Pucci fu invitata spesso in teatri di minor conto quale il Teatro Metropolitano della Nuova Avana (ove fece uno Sforzo del Mastino notevole con il Mastino tutto cosce e nervi di Ispanico Vivaldi), ma anche il meno catacombale Teatro Filobusio di Nuova Yorca (attuale Obamalandia, ex Buscionia, ecc.)

Ebbe anche grande successo nell'Estremo estremo (giacché oriente e occidente se si fa il giro si toccano, e dato che la terra è tonda, beh si fa il giro e credo sia questo esempio della mia impenetrabile logica che tutta sottende alla mia perspicua e perspicace sintassi), ad esempio a Tokyo, nella Terra dei Flashanti. E lì cantò un ottimo Rigatino del quale si serba una ripresa audio a metà strada tra il video e la minestra di ceci.

Ma aveva proprio una bellissima voce la Pucci, con tanto di passaggio Do1-Do7 alto in maschera e sarebbe stato bello se avrebbe cantato essa anche parti maggiormente stilizzate, specie nelle opere di tenore frizzante, penso ad esempio alla parte di Fuffauffa, ancella intraprendente della largheggiante Inessa nell'azione comica in vari atti Inessa d'Arezzo di Unnebone Menirezzo, oppure la fatale, ma frizzante, Ditina nel grande e pruriginioso affresco popolare ferrarese (un po' polpettone a dire la veritate) intitolato Alte bisogne e bassi grattamenti del ferrarese Remo Ròidi, che s'ispirò naturalmente a quel capolavoro di introspezione inglese che va sotto il titolo di The itching hole del maltese Mirò Delculle Prude. La Ditina fu cavallo di battagllia, lo rammento e me ne sarete grati, di Teresina Onesti Masfigati, che forse, quasi quasi, e senza alcuna presunta umiltà da parte nostra, cioè di noi Donzelletta, potrebbe essere sovrapposta, quantum ad carrieram, alla oggi piacente e plasticissima Arcangela, che vediamo qui ritratta in una foto recentissima, durante un concorso di canto in Ciornia durante il quale la Pucci s'è prestata in qualità di giurista.

Un saluto alla divina Pasta, e tanta compassione per voi altri.

Gli ascolti:

Hotel O, Azzurri: gran scena di Te-se'-Mona

La Signora Mosca del Burro, Intiggini: Un bel dì vedremo, Tu tu tu tu (altrimenti detta aria del Clacson rotto).

La Rigida, Azzurri: cabaletta del gioire.

Rigatino, Azzurri: aria di Milza.

mercoledì 1 settembre 2010

C'è posta per la Pasta, vol. 91 - Carteggio con Bruttini sulla "Legge"


A grande richiesta – davvero ci avete sommersi di amabili, per quanto orchioclastiche, petizioni a riguardo – ecco una nuova puntata, novantunesima per essere precisi, della fortunata collana d'articoli ove la sempre amabile e celeste Giuditta, dea di queste arene, mi autorizza a pubblicare perle dal bellissimo forziere del suo archivio personale.


Dato che ho parlato recentemente, con un sapere che mi sembra più circonfuso di baleni ultramondani che da guizzi della povera mente mia, della genesi della Legge del maestro Perdenzio Bruttini, ecco un breve scambio epistolare intercorso tra detto musico e la Nostra adoratissima, sempre stilizzata maestra del ben pensare e cantar meglio. Le lettere datano di pochi giorni dopo il mandato rilasciato dal ciambellano di Naposilveone al caro maestro, che allora si trovava presso Cremona, alloggiato presso una delle sue molteplici amanti.


Inizia dunque il Bruttini, con una lettera volta a coinvolgere la Diva nell'estemporaneo progetto:


Cremona, addì Vulcanodì ottavo del mense di septembre mille'nto'trenta et uno,


Perdenzio Bruttini alla soavissima cantrice Iudita Pasta, della Cappella de' palatini Conti Semeladai e voce soprana a' solo de' regi teatri di Parmareggio, il saluto e la costanza d'ogni affetto, in rimembranza ognor fedele delle tante libagioni e proteste d'amor cortese che cotanta beltà d'artista offerse a suo um.issimo servo à la corte dogale di Felistrozzo degli Oceani.


E' caso inenarrabile, mia gentilissima dama, che, quasi mentre disperavo di tornare un dì all'Ascenzore, onde temevo che già fosse colmo il carico suo di altri musici assai valenti, m'arrivò ratto, quale augello in volo, siffatto messaggio del magno Naposilvione, ove rogato m'era scrivere per suo genetliaco e aggradimento un drama di poderosa fattura acché tutto il popolo di Mediolano unito in un fiato solo potesse meglio celebrar sua gloria estrema.


Donde m'accostai al cembalo e notturnamente, quasi preso da ardor che dan gl'Iddii, mi misi a componere e componetti tanto che al risveglio il Sol nascente ritrovò Bruttini sommerso da catasta di carte. Benedette queste carte, Iudit colendissima! E avendo voi ammente le componetti, voi sola. Orvia, ecco, vi mando con queste mie un saggio del mio penare. Che lo leggiate e, se v'è grato, lo cantiate a maggior gloria del silvestre eroe in quel dell'asceso teatro, altro non saprei dimandarvi, né sperare.


La Pasta, che allora si trovava in ammollo sulle rive dell'Eufrate, affluente della Martesana, prer la precisione a Gallo-sull-Unghia (oggi Gallarate), lesse, cantò, e rispose:


Gallo all'Unghia – addì Eremetedie undecimo del mese di settembre mille'nto trenta uno


Giuditta Pasta, superna cantrice della Cappella imperiale, maestra musica della Cappella de' conti Palatini Semeladai, maestra musica della Cappella de' marchesi Gratie, nonché soprana a' solo a' teatri regi di Parmareggio, della basilica cattedrale di Mediolano e della basilica gentilizia de' nobili viri Felistrozzo e Nasello degli Oceàni, al musico Perdenzio Bruttini,


il saluto e l'amabile benevolenza che si dee a chi di misericordia è oggetto, e di pietade.


Sono davvero sorpresa, mio caro, che voi m'invitiate a tali manifestazioni di bassa piaggeria ne' confronti di uomini più avvezzi al malcostume delle foreste, che non alle gentilezze cui io, artista del grado in cui mi pregio, sono stata diuturnamente adusa.


Ciònondimeno assai mi piacque il vostro ardire, e quasi vi ravvedo una naturale inclinazione vostra a carpire i secreti della mia volontà. Vedete dunque quanto merto si face, nel volgo, alle sorelle Lecisio per essersi da tempo svelate prone a tanto sire? E a tanto giunsero per essersi talora prodotte a' scene da lui condotte. Ebbene, pur sia. Giuditta canterà per desso ottentotto e tanto bene che forse cangerà pensieri, e tosto tornerà dov'egli s'en venne. O santo ardor di patria, quanto mi scuoti!


Ma caro davvero il tuono della cavatina che voi mi mandaste non conviensi alla mia voce. Il mio istromento meglio s'accomoda di diverse corde, come il la bemol a modo minore. Suvvia, poco vi chiedo... Ricomponete dessa cavatina, e vostra mi farò.


Bruttini ricevette il dispaccio quando già aveva mandato le bozze dell'opera completa presso lo stampatore, e precisamente mentre tatuava un'aria di bell'effetto, cominciante con “Il core involami”, sulla prosperosa natica destra della sua giunonica amante. Trovossi poi detta amante appropinquata anche al maestro Petezetti, che, letta l'iscrizione, in una sera di voluttà e sciampagna in quel di Bergamo, nell'allor augusta provincia di Orio al Serio, ne trasse ispirazione per l'aria finale, “Al dolce guidami”, nel melodramma marittimo “Ah! La balena!!” di qualche anno successivo. Per ironia del fato, fu la stessa Pasta a ricoprire il ruolo della Balena.


Così Bruttini lasciò lì l'anonima amata, e corse a fermare il torchio dello stampatore, non prima d'aver riscritto la cavatina “Casta diva” nella tonalità espressa dalla sacerrima Artista.


Rispose allora la Pasta, in viaggio per Mediolano, questo breve e confidenziale biglietto


Perdy carissimo,


che bella cosa facesti, rifacendo l'aria che facesti per me. La farò, ne fo promessa.


Ma non mi chiedere di cantare “Casta diva”, come so che vorresti, alla sindichessa Sossorci, che mi parrebbe dire bello a un mostro.


Chi canterà Cunzubalda? Voce mi giunse che sarebbe una delle due Lecisio? E soffrirei io, Giuditta Pasta, vedermi negletta per una volgare mign...


Qui s'interrompe il biglietto... forse la carrozza prese una buca, e la penna volò via dalle estremità delicate della nostra Giuditta.


Ecco l'ultimo biglietto di Bruttini, che faticò molto per trovare un'altra interprete del ruolo di Cunzubalda:


Giuditta divina,


Grande pena mi fu trovare una nuova Cunzubalda. Vi è pur nella provincia d'Arcore una non più giovanissima pulzella, di pelo rosso e coscia valiente, che dice discendere dalla stessa tribù dei Brambbili e risponde al nome di Trionforia. Ha voce discreta, che spesse volte fa risonare in strani gazebi da lei stessa approntati.


Mai sarà bella quanto voi siete, ma nondimeno è pronta a servirvi e cantar con voi.


Reverente m'inchino, vostro Perdenzio.


lunedì 30 agosto 2010

L'antro di Gigì - La LEGGE di Bruttini: genesi di un'opera


Cari e lesi lettori,

ancora una volta, per sua grazia ineffabile, l'oltremondana Giuditta mi concede queste succose chicche tratte dal mio poderoso sapere. Oggi voglio dilettarvi con la storia delle genesi della famosa opera “La Legge” di Perdenzio Bruttini, che per la divina Giuditta compose specialmente le opere “La Legge”, data in Ascensore l'anno 1x31 e la Che Bambola!, quasi contemporanea.

Correva il 1x31 e il tale Naposilveone scese dai monti a scompaginare la resistenza italica. Quivi trovò i suoi quartieri nella bella cittadina di Mediolano in provincia di Arcore, oggi sotto la giurisdizione di Sampietro e riprese in mano il bel teatro Ascensore. Naposilveone lo fece “aggrandire e abbellire d'ogni belluria”, così si legge almeno nei “Res gestae Naposylvionis doctissime exemplatae manu Aemilii de Fide canzellarii eius”, ritrovato in un codice miscellaneo appartenuto ai conti Semeladai Gratie del ramo Celomoll y Megratas y Noprendov y Agras. Così prosegue l'avita cronaca: “L'altissimo prence d'ogni bella plastica munito, ch'ogni anno andava lieto a vileggiare onde parir più bello in redditu suo, penzò anchor adornare con musica bella siffatto teatro e onde ciò facere mandò al maestro della cappella sua, Bordon de la Picella, di componere picciole gavotte e frotterelle delle cui quali grande aveva sperienza, in ispezie barcarolle e fior da rosto. Ma il brav'omo, che troppo avea sofferto dell'essere servo a cotanto divo, preferito havea libertà parcatella a magno magnare, talché s'era ito nell'isole lontane e si trovò adunque il Naposylvione privo di musici e cappella. A tanto non valse la strana ventura onde recar scoraggiamento al nobile viro ch'adunque si volse a miglior vassallo: il Brutini, ch'allor biscazzava lieto di buona gioventude et ardore in quel di Cremona apud certa sua dulcissima amante. Mandò dirgli che volea, il forte Artabano, che fosse per esso Brutini composita qualche melopea di savia contenenza, a ciò che meglio reggesse in giusto e puro governo suo popol beato et d'ogne grazia fornito. Brutini, che havea in gran dispitto il vacuo del borsino, arrise tam lieto al lieto incarco. E così componette “la Legge”, che tratta parea da antichissima compositione onusta d'anni et gloria, e che andava sotto nome assai desueto e strambo sonante come “Costitugione” o “Costitutione”, difficile memoratu. Affidò gli stromenti, il santissimo pastore, a quell'anima ebra di luce che il volgo clamava a gran voce “Alì fanò, alì fanò” omniquandocumque appariebat. E diede voce e spirto a tanto spiro d'artistico seme la condegna cantrice Iuditta Pasta, ch'allor regnava sull'Italica sclatta delle musiche dame”.

Le fonti dunque parlano chiare, e non ci sarebbe nulla da aggiungere sul contesto storico in cui questo poderoso melodramma, o meglio Tragedia, trovò a collocarsi. “La Legge”: dagli atti del Teatro si evince che Bruttini la compose in sole due ore ; gli bastò infatti, come emerge in tutta chiarezza da un attento studio di quella strana opera desueta detta “Constitutio rei publicae”, stralciare ogni passo che non confacesse pienamente all'alto disegno dell'augusto committente e armonizzare il resto nella tonalità gioviale di SI-FA-SOL (PER M.E, videlicet per Modulationem Enharmonicam).

La trama è in sé quasi banale: La Legge (soprano) è figlia di Placcateso (basso), sacerdote di Tivoincul, dio del Falso. Da anni essa drudeggia con Piduone (tenore), comandante di una legione della tribù Frimasonia. Essi nutrono due figli: un maschio, Gamorro, e una femmina, Mapphia. E poi quanti altri, il libretto non lo dice, ma si suppone soltanto. Un bel giorno Piduone tralascia la Legge per l'avvenente Cunzubalda, della tribù dei Brambbili, e la Legge s'inviperisce. Alla fine Legge e Piduone spariranno in un gran falò, per installarsi nell'iperuraneo, lasciando il tutto in mano a Placcateso e ai loro figli.

Più complessa la composizione, specie per le giustissime richieste della protagonista. Ma circa questo v'invito a leggere la prossima puntata di “C'è posta per la Pasta” (volume 91) in cui il Cazziere vi svelerà il carteggio tra la levissima cantatrice e il suo diletto Bruttini.

sabato 28 agosto 2010

I dadini di Brodino - Rocky il Copritore, nuovo DVD

Ricevo via etra et eziandio pubblico questo DADINO (Dissertazione di Allievo Destinato a Imperfettastilizzazione NOnostantetutto) del nostro fido collaboratore Brodino, che per ogni via è andato nutrendosi alle mamelle copiose della scienza del grande Gabbietti.

Il DADINO riguarda l'avvenuta presa visione, da parte di detto Brodino, della recente pubblicazione in DVD (Degenerazione Video-Destilizzata) della celeberrima opera di Bonaventura Mistacca, Rocky il Copritore, di cui ancora ricordo la splendida edizione data in Ascensore nel 1859 (o 1959, ma son quisquilie) con la stilizzatissima falsistissima Magdi Allamvero (che saluta tutti con affetto), grande diva (ebbeh, io m'ero già ritirata, che volete) e il grande Rocky di Ispanico Vivaldi, il buon Chiffonet di Achille Ettorini (altrove berciante, ma qui piacquette anche a Gabbietti, il ché è garanzia di ogni verità)... Insomma un grande cast, poco da obiettare. Vi allego la locandina così potete ripulirvici gli occhi. Un saluto a me stessa, Giuditta celeste.

Qui comincia il DADINO di Brodino:

Eccheccasso... La casa discografica Penthouse ha deciso di pubblicare sta porcata, alché ho deciso che naturalmente dovevo vederla perché io mi ci diletto capite a guardare le porcate così mi sento particolarmente ferrato in fatto di canto e posso smalignare perché o quanto mi piace smalignare sulle voci che sembrano tutte latrati subinguinali e oggi mica si sa più cantare come una volta anzi oggi mica si canta più ma che dico da oggi da almeno 50 anni eh mica da ieri.

A me mi frega una beneamata cippa di come recita un cantante quello deve cantare mica star lì a fare l'orango in scena perché se voglio vedere oranghi in scena beh vado al parco e magari sento anche dei suoni correttamente in maschera e stilizzati perché quello è e poi almeno ci vuole una voce sontuosa e quanto meno che il Gabbietti ne dica bene ma siccome il Gabbietti è ito allora non può più dir bene di nessuno sicché nessuno sarà detto bene da Gabbietti e allora nessuno avrà mai più voce sontuosa e in maschera e stilizzata.

Dunque veniamo ai cantanti solisti di questo Rocky il Copritore uscito per la Penthouse allora c'è la solita Carmen Economicosi che fa un'Adriana moglie di Rocky tutta spingi spingi che lo stringi e poi non sa recitare anche se a me non me ne frega una fava di Giobbe ma davvero quanto è poco brava l'Economicosi a recitare è quasi sorprendente ma poi come canta Dio mio pare un sifone rotto con qualche ingorgo quasi come una pentola a pressione con il coperchio sigillato pronta a esplodere e no Adriana non si canta così e poi mi domando come fa Rocky a gridare il suo amore per lei dal ring se questa sembra una pesciaia che io personalmente me la darei a gambe e poi non si declama così il monologo del terzo atto ci vuole più insinuazione nei confronti della baldracca Knorr e poi alla fine quando fa il passaggio Sol1-Sol7 deve essere stilizzata e allora niente da fare questa grida come una scimmia macaca e allora io la rimanderei a sentire la grande Magdi e dopo ciò decidere seriamente di cambiare mestiere.

Mè piaciuto di più il Chiffonet di Fofò Padovozzi che fa la parte dell'amico un po' frufru e infatti si chiama così perché si veste con ampi mantelli di chiffon e davvero come interpretazione m'è piaciuto dacché l'ho trovato in parte ma che voce da mastino cui è andato l'osso di traverso mon dieu ma dove siamo all'unità cinofila di qualche commissariato di una delegazione suburbana per diana e atteone?

Male malissimo la baldracca Knorr di Brigitta Littlehorns che ha una vocina per giunta omogenea ben lontana da quanto preconizza il Gabietti nel suo noto saggio Si qua vox nimium equa sit melius foret culum dare per viam pessima davvero per carità.

Comungue il fondo si tocca anzi ci si è catapultati dentro e ci si da pure una facciata violenta con il tenore Gioselito Vargasso che fa un Rocky che davvero più che a Silvestro Montone tenutario del ruolo alla creazione pare la versione ipertrofica di un qualunque Jean-Claude de la Sensualité Vendôme o altri omuncoli quali Neronegro oggi dittatore di non ricordo più quale stato colombiano troppo lezioso e delicagato sto Vargasso che si crede forse di non dovere affrontare il terribile Mason Dixon che per fortuna non deve cantare altrimenti sapete che quintetto non oso pensare.

Ecco spero che il mio DADINO sia stato saporito a piacere alla Giuditta è piaciuto molto dice che ha dato rilievo alla sua minestra di fiele di scrofa.

Ciauz.

martedì 20 luglio 2010

La Ida di Azzurri - in diretta dai Bagni di Monsummano (e ci si potrebbe anche affogare, in codesti bagni)

Con grande mia afflizione, perché questa è la parola giusta, credetemi (e la Pasta non mente!) mi trovo costretta a dovere scrivere di questa rappresentazione della celebre opera di Azzurri denominata "La Ida", e data per la prima volta alle scene a Catanzaro in Egitto, o quasi, nel 1671 per l'inaugurazione del traforo nell'alta montagna che s'erge e occupa gran parte della cosiddetta pianura Padana, ai confini estremi dell'Africa merdionale.


Finita la lezione di storia spicciola del melodramma, passiamo alla vera tragedia. E cioè questa cosa che senza pudore alcuno ha pervaso le mie celesti stanze quando, oh quanto mai incauta, le mie dita inanellate di perle di nube hanno premuto il pulsante ON della radio e hanno girato il pomello fino a sintonizzarla su RAGLIO3, canale dove si espande ormai da anni il fiele dello LSD più spurio.

Comincia male, questa Ida, trasmessa in diretta dai Bagni di Monsummano-a-Bagno, in provincia di Via-a-Reggio (anticamente Strada-a-Parma). Il tenore lirico leggero che tutti ci aspetteremmo per cantare la parte deliziosamente femminea di Rate-al-Mes (è egli un gigolò che riceve paga mensile dal Re di Calabria, in guerra con quello di Puglia, non scordiamocelo, e quindi richiede sempre emissione stilizzata!), è qui sostituito da un brutale e fremebondo Pierferdinando Smochingaro dal quale non siamo riusciti a sentire emissioni che fuoriscissero dall'inamidata collottola per tutta l'opera.

Ma il dramma, quello vero, giacché la Ida è piacevole vaudeville, viene a sentire i latrati e le fissità di tale Carmen Economicosi, reginetta, a suo dire e nostra constatazione, di Fesse-Bouc (dal francese, "natica-caprone", insomma, un sito che parla da sé, ne converrete), e che viene difesa a spada tratta e bile appena trattenuta da gentucola come il Bellacutella o altri seguaci che in buona e senziente ragione abbiamo deciso di bannare ad vitam, perché davvero, ragazzi, non si può farla fuori dal vasino e poi pretendere che la maestra (cioè io, modestamente) raccatti l'espleto come una vile inserviente (chiamate la Mona Monda caso mai).

Ma l'Economicosi è ben altro espleto, davvero. Vorrei solo analizzare l'aria celebre dei Cieli azzurri. Qui Azzurri davvero ci mise l'anima perché in fondo parlava di sé, del suo cognome, della sua famiglia... Della sua patria, e infatti la romanza vera e propria comincia con "O patria mia", subito dopo la citazione del cognome... Non so se avete mai notato, ma temo di no. Ecco, l'Economicosi fa esattamente il contrario di quanto si dovrebbe fare in questa aria, tutta giocata sul sentimento e soprattutto sulla stilizzatezza (quella sempre!!). No, guai... La nostra sbuffa, la nostra starnazza, la nostra a momenti sviene quando deve affrontare l'impervia salita sul passaggio Sol1-Sol7 laddove la Meloni Campani sembrava sorridesse per troppa facilità, finendo la corsa con un Sol7 in pianissimo librato a mezz'aria come la piuma di un cigno. Ma del cigno l'Economicosi ha solo la voce sgraziata e altro non saprei dire senon che mi ha ferito le orecchie che credevo ormai parate ad ogni insulto.

Tacerò del fatto che la nota critica Livia Avvocato ha osato tessere gli stessi elogi nei confronti di questa falsista e della citata Meloni! Proprio le stesse parole, non riesco a capacitarmene!! Ditemi che sogno, ditemi che non sono desta, ditemi che in un attimo di abbagliamento dell'ego sovrumano il mio occhio divino s'è ottenebrato e ha letto male. Ma no, lo leggo qui, proprio le stesse, identiche parole spese a favore della Economicosi, regina di Fesse-Bouc e della Meloni. Ma ditemi voi, menti prave eppur, forse, redimibili, questa è lode alla prima od insulto alla seconda?

Arriva la Mneris della veterana Casotta... Ha più anni di me, credo, ma almeno sa ancora fare due suoni vagamente stilizzati.

Basta, mi sono stancata di scrivere di queste fregnacce, avrei anche altro da fare... Come ad esempio strigliare il sommo musicologo Del Praz affinché castighi la cattiva informazione che nel giro di un giorno farà della Sbattoli l'interpreti di riferimento della Legge di Bruttini. Perché questo sarà, o forse è già, e allora sarà vano per voi vestire panni di fustagno nero e lacerarvi il viso con le vostre stesse unghie sporche della terra di cui vi sarete cosparsi il capo e del sangue che zampillerà dalle lunghe flagellazioni. Ormai la Legge si canterà solo così, sappiatelo, e voi... Voi... Voi eravati tutti lì, e non l'avete tramortita con lanci di pietre e/o pomidori decotti. O mia divina me, mi sento mancare. E per voi piango, oh quanto piango per voi. Ma è tardi, sì è tardi. Più per voi che per me, che sono sempre stilizzata e son, qual Zelmiramide, regina ed amante. Tié.

Sempre Sua, di se stessa, Giuditta.

Nell'illustrazione: i Bagni di Monsummano-a-Bagno.

Quanti di voi haveranno superato la prova?

Ahahahahahahah, se Donzelletta ride venendo dalla campagna (ho appena seminato le cucurbitacee, sicché sarebbe più appropriato dicere venendo alla campagna, ma poco ci cagliano queste corruganti defatigazioni celiose) in sul calar del sole, è perché Donzelletta, la DP e tutta la curia nostra celeste ai piedi suoi gaudente vi ha giuocato un ischerzo per somma sua (e vostra, perché nostro e vostro in un punto si fanno appresso la nostra sapienza che tutto contempla) gioja. Se avete capito la frase podalica poc'anzi composita allora potete seguitare a leggere, altrimenti rileggetela finché la vostra espressione non cangerassi da inebetitamente destilizzata qual'è a quasi (ma dico quasi) testimone di veruna, che non sia falsa, scintilla di sentimento razionevole.

Dicevo dunque nella mia forbita e castigatissima prosa adusa a tutti i clismi del cursus e del honos, insomma, VPS (vera prosa stilizzata) in veriveritate, che v'ho fatto un bel tiro a tutti voi, illecebri cerebri, e in particolare a quelli di Eleuterio che tanto ci consunse le onrate sfere olim (da non confondersi con le lampadine Osram) e quel sciocchino di Natale che scrive senza senso veruno di consecutio temporum e dovesse per questo imparare acciocché scriverebbe meglio.

Tale è l'ischerzo, e siffatto che per mesi gli astilizzati lettori nostri, che tanto fanno piangere allagrime di sangue la beata sempre stilizzata Pasta, e a me scoppiettare gli ubertosi capsieri (videlicet testicula, videlicet nella lingua lesa di ser Iacopone, le coglia), non avranno potuto leggere (il soggetto è alla prima riga di questo istesimo paragrafo) articoli, lamentandosene molto e contriti di core chiedendosi come mai e perché e donde e per qual ventura e come e quando noi si sarebbe elletto che non scrivassimo piue e spandere nostro sommo sapere ai fini della redenzione loro (sempre il de cujus soggetto del rigo 1).

Ma quanto s'ingannasserebbero costoro è cosa palese ed evidente all'occhio di noi celicoli giacché loro hanno presunto vieppiù troppissimo et molto della loro fallace possanza intellectiva, già che, infimi quali essi siano e sono giamai avrebbero essi potuto leggerli, condetti articoli, dacché noi si ellesse di renderli visibili solo a chi veracemente e in veriveritate plena et efficace potesse fregiarsi dell'onrato titulo di veri stilizzati, rifuggenti cioè da ogni assunzione lasciva di LSD e sempre attenti a non aver mai l'orecchio ottuso da merda veruna. E cioè noi soli potemmo leggerli, per nostra somma gioja, giacché non è cadere in peccato d'Onan godere di noi stessi se noi stessi soli possiamo, gaudio sommando a gaudio, godere di nostra gaudente stilizzatezza a pro nostro e ischerno di voi che tanto isprezzate il vero, seguitando invero a prezzare il falso, conciosiacosaché vi sia stati svelati un dì i tesori d'una De La Fosse a disdoro d'una Gamelancia o di una Meloni Campani che, ohi sommo orrore, l'illesa e virginea critica lsd-iana Livia Avvocato osò riporre sul piano medesmo d'una orrenda latrante falsista quale tale Carmen Economicosi, alla quale lanciamo imperituro vituperio in nome di Giuseppa Gradonnona e del suo sacrato avello ricettacolo d'ogni gaudizia.

Ben lo sa il Bellacutella, che sentì lo colpo tale, che disperò perdono (cito sempre il sommo Gabbietti e la sua ben nota Tragedia, ultimo de' libercoli suoi, il primo essendo quello sul Melodramma in cilindro, per i tipi della Frasconi, Anno di Giubileo 1500).

Con afflizione e doppia piroetta carpiata, vostro leso e divoto e humìlissimo servo Donzelletta.

Ps: baciatemi le piante, e non parlo delle quae supra cucurbitacee.