mercoledì 1 settembre 2010

C'è posta per la Pasta, vol. 91 - Carteggio con Bruttini sulla "Legge"


A grande richiesta – davvero ci avete sommersi di amabili, per quanto orchioclastiche, petizioni a riguardo – ecco una nuova puntata, novantunesima per essere precisi, della fortunata collana d'articoli ove la sempre amabile e celeste Giuditta, dea di queste arene, mi autorizza a pubblicare perle dal bellissimo forziere del suo archivio personale.


Dato che ho parlato recentemente, con un sapere che mi sembra più circonfuso di baleni ultramondani che da guizzi della povera mente mia, della genesi della Legge del maestro Perdenzio Bruttini, ecco un breve scambio epistolare intercorso tra detto musico e la Nostra adoratissima, sempre stilizzata maestra del ben pensare e cantar meglio. Le lettere datano di pochi giorni dopo il mandato rilasciato dal ciambellano di Naposilveone al caro maestro, che allora si trovava presso Cremona, alloggiato presso una delle sue molteplici amanti.


Inizia dunque il Bruttini, con una lettera volta a coinvolgere la Diva nell'estemporaneo progetto:


Cremona, addì Vulcanodì ottavo del mense di septembre mille'nto'trenta et uno,


Perdenzio Bruttini alla soavissima cantrice Iudita Pasta, della Cappella de' palatini Conti Semeladai e voce soprana a' solo de' regi teatri di Parmareggio, il saluto e la costanza d'ogni affetto, in rimembranza ognor fedele delle tante libagioni e proteste d'amor cortese che cotanta beltà d'artista offerse a suo um.issimo servo à la corte dogale di Felistrozzo degli Oceani.


E' caso inenarrabile, mia gentilissima dama, che, quasi mentre disperavo di tornare un dì all'Ascenzore, onde temevo che già fosse colmo il carico suo di altri musici assai valenti, m'arrivò ratto, quale augello in volo, siffatto messaggio del magno Naposilvione, ove rogato m'era scrivere per suo genetliaco e aggradimento un drama di poderosa fattura acché tutto il popolo di Mediolano unito in un fiato solo potesse meglio celebrar sua gloria estrema.


Donde m'accostai al cembalo e notturnamente, quasi preso da ardor che dan gl'Iddii, mi misi a componere e componetti tanto che al risveglio il Sol nascente ritrovò Bruttini sommerso da catasta di carte. Benedette queste carte, Iudit colendissima! E avendo voi ammente le componetti, voi sola. Orvia, ecco, vi mando con queste mie un saggio del mio penare. Che lo leggiate e, se v'è grato, lo cantiate a maggior gloria del silvestre eroe in quel dell'asceso teatro, altro non saprei dimandarvi, né sperare.


La Pasta, che allora si trovava in ammollo sulle rive dell'Eufrate, affluente della Martesana, prer la precisione a Gallo-sull-Unghia (oggi Gallarate), lesse, cantò, e rispose:


Gallo all'Unghia – addì Eremetedie undecimo del mese di settembre mille'nto trenta uno


Giuditta Pasta, superna cantrice della Cappella imperiale, maestra musica della Cappella de' conti Palatini Semeladai, maestra musica della Cappella de' marchesi Gratie, nonché soprana a' solo a' teatri regi di Parmareggio, della basilica cattedrale di Mediolano e della basilica gentilizia de' nobili viri Felistrozzo e Nasello degli Oceàni, al musico Perdenzio Bruttini,


il saluto e l'amabile benevolenza che si dee a chi di misericordia è oggetto, e di pietade.


Sono davvero sorpresa, mio caro, che voi m'invitiate a tali manifestazioni di bassa piaggeria ne' confronti di uomini più avvezzi al malcostume delle foreste, che non alle gentilezze cui io, artista del grado in cui mi pregio, sono stata diuturnamente adusa.


Ciònondimeno assai mi piacque il vostro ardire, e quasi vi ravvedo una naturale inclinazione vostra a carpire i secreti della mia volontà. Vedete dunque quanto merto si face, nel volgo, alle sorelle Lecisio per essersi da tempo svelate prone a tanto sire? E a tanto giunsero per essersi talora prodotte a' scene da lui condotte. Ebbene, pur sia. Giuditta canterà per desso ottentotto e tanto bene che forse cangerà pensieri, e tosto tornerà dov'egli s'en venne. O santo ardor di patria, quanto mi scuoti!


Ma caro davvero il tuono della cavatina che voi mi mandaste non conviensi alla mia voce. Il mio istromento meglio s'accomoda di diverse corde, come il la bemol a modo minore. Suvvia, poco vi chiedo... Ricomponete dessa cavatina, e vostra mi farò.


Bruttini ricevette il dispaccio quando già aveva mandato le bozze dell'opera completa presso lo stampatore, e precisamente mentre tatuava un'aria di bell'effetto, cominciante con “Il core involami”, sulla prosperosa natica destra della sua giunonica amante. Trovossi poi detta amante appropinquata anche al maestro Petezetti, che, letta l'iscrizione, in una sera di voluttà e sciampagna in quel di Bergamo, nell'allor augusta provincia di Orio al Serio, ne trasse ispirazione per l'aria finale, “Al dolce guidami”, nel melodramma marittimo “Ah! La balena!!” di qualche anno successivo. Per ironia del fato, fu la stessa Pasta a ricoprire il ruolo della Balena.


Così Bruttini lasciò lì l'anonima amata, e corse a fermare il torchio dello stampatore, non prima d'aver riscritto la cavatina “Casta diva” nella tonalità espressa dalla sacerrima Artista.


Rispose allora la Pasta, in viaggio per Mediolano, questo breve e confidenziale biglietto


Perdy carissimo,


che bella cosa facesti, rifacendo l'aria che facesti per me. La farò, ne fo promessa.


Ma non mi chiedere di cantare “Casta diva”, come so che vorresti, alla sindichessa Sossorci, che mi parrebbe dire bello a un mostro.


Chi canterà Cunzubalda? Voce mi giunse che sarebbe una delle due Lecisio? E soffrirei io, Giuditta Pasta, vedermi negletta per una volgare mign...


Qui s'interrompe il biglietto... forse la carrozza prese una buca, e la penna volò via dalle estremità delicate della nostra Giuditta.


Ecco l'ultimo biglietto di Bruttini, che faticò molto per trovare un'altra interprete del ruolo di Cunzubalda:


Giuditta divina,


Grande pena mi fu trovare una nuova Cunzubalda. Vi è pur nella provincia d'Arcore una non più giovanissima pulzella, di pelo rosso e coscia valiente, che dice discendere dalla stessa tribù dei Brambbili e risponde al nome di Trionforia. Ha voce discreta, che spesse volte fa risonare in strani gazebi da lei stessa approntati.


Mai sarà bella quanto voi siete, ma nondimeno è pronta a servirvi e cantar con voi.


Reverente m'inchino, vostro Perdenzio.


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