mercoledì 8 settembre 2010
Mezze seghe a chi? Arcangela Pucci
Come me lo ha richiesto il grande nostro estimatore, ma non è nemmeno farci troppa grazia essere nostri estimatori giacché la stima è cosa naturale ove apportata alla nostra grandissima levatura di persone e di cognoscitori dell'arte del canto, cosa che tra tutte maxume è colenda tra le scienze e senza dubbio alcuno unica finalità d'una vita ben spesa, sicché caro Natale anche se non sa infilare due subiuntivi ed è privo, al contrario del sottoscritto medesimo, di una consecutio modale e temporale degna dei più grandissimi scrittori d'ogni favella, ebbene sappi lei che nonostante ciò e forse anche a detrimento lei ci sta molto simpatico, e non ce lo staresse di più se sarebbe più colto al pari di me e della divina Pasta.
Dunque per fare un grande piacere a Natale, che senz'altro ci sarà grato, ecco il ritorno di una rubrica che molto piacque a tutti e che ora ripropongo, e non mi è difficile perché la mia conoscenza delle cantanti d'una volta è tale che pur senza averne sentito la maggior parte in teatro dato che per chissà quale strana ragione, ma forse perché sono ancora un po' giovane, ho uno strano gap, come dicono i sassoni, tra l'ascolto delle oltremondane dive del 'tecento e le divine De Lafosse (sia sempre lodata) e Sferetti, ma comunque vi parlerò sulla scorta delle registrazioni in nostro possesso, e le possiedo tutte, ma proprio tutte in tutti i formati audiotelevisivi e oltre possibili e potenziali.
E vi parlerò dunque di Arcangela Pucci, cantante singolare soprattutto per il fatto che a più di x-vanta anni dimostra meno anni di quando aveva vent'anni e quasi quasi è più appetibile ora che non illa die quando debuttò nel lontano 1859 (o forse 1959, ma importa assolutissimamente poco come disse quel borgognone d'un guascone caro, e raro amico, Diliberto Herrera, hidalgo giovialissimo) nella Zigarata di Intiggini, nel ruolo della prezzemolina Titì. Le cronache parlano d'una giovane non troppo aitante ma dalla voce alta nella maschera (e le maschere ancora se ne ricordono come faceva risuonare la sua voce dentro di loro quasi emettendo i suoni all'altezza delle loro rocche petrose e pareti occipitali tanto da costringerli poi a doversi far fare una volgarmente detta pera di aspirina) che poi avrebbe trionfato, sempre in ascensore, in opere di stampo falsista come la Vecchiaccia Orientale, dello stesso Intiggini (seguito mal riuscito della Fanciulla Maniscalca del vero stilizzato Franz de Pallen, grande cavallo di battaglia, lo rammento, della superna Marfesina Puledrotti), o come la Signora Mosca Del Burro, sempre del porcarese Intiggini, ma anche il melodrammone in stile alberghiero Hotel O di Azzurri, nella parte da grande tragediana di Te-sé-Mona, grande lavoratrice tailandese fatta morta per strangolamento dal suo prosseneta per il suo troppo amore del cassio.
Ma la Pucci s'esibì in ben altre opere di ben altra stilizzazione, opere da vero VSD, con tutti i sacri clismi della STICA, benché non arrivò mai ad un vero e proprio CASTA DIVA forse più per esagerata morigeratezza che non per non reali capacità. Ricordo che la Pucci fu invitata spesso in teatri di minor conto quale il Teatro Metropolitano della Nuova Avana (ove fece uno Sforzo del Mastino notevole con il Mastino tutto cosce e nervi di Ispanico Vivaldi), ma anche il meno catacombale Teatro Filobusio di Nuova Yorca (attuale Obamalandia, ex Buscionia, ecc.)
Ebbe anche grande successo nell'Estremo estremo (giacché oriente e occidente se si fa il giro si toccano, e dato che la terra è tonda, beh si fa il giro e credo sia questo esempio della mia impenetrabile logica che tutta sottende alla mia perspicua e perspicace sintassi), ad esempio a Tokyo, nella Terra dei Flashanti. E lì cantò un ottimo Rigatino del quale si serba una ripresa audio a metà strada tra il video e la minestra di ceci.
Ma aveva proprio una bellissima voce la Pucci, con tanto di passaggio Do1-Do7 alto in maschera e sarebbe stato bello se avrebbe cantato essa anche parti maggiormente stilizzate, specie nelle opere di tenore frizzante, penso ad esempio alla parte di Fuffauffa, ancella intraprendente della largheggiante Inessa nell'azione comica in vari atti Inessa d'Arezzo di Unnebone Menirezzo, oppure la fatale, ma frizzante, Ditina nel grande e pruriginioso affresco popolare ferrarese (un po' polpettone a dire la veritate) intitolato Alte bisogne e bassi grattamenti del ferrarese Remo Ròidi, che s'ispirò naturalmente a quel capolavoro di introspezione inglese che va sotto il titolo di The itching hole del maltese Mirò Delculle Prude. La Ditina fu cavallo di battagllia, lo rammento e me ne sarete grati, di Teresina Onesti Masfigati, che forse, quasi quasi, e senza alcuna presunta umiltà da parte nostra, cioè di noi Donzelletta, potrebbe essere sovrapposta, quantum ad carrieram, alla oggi piacente e plasticissima Arcangela, che vediamo qui ritratta in una foto recentissima, durante un concorso di canto in Ciornia durante il quale la Pucci s'è prestata in qualità di giurista.
Un saluto alla divina Pasta, e tanta compassione per voi altri.
Gli ascolti:
Hotel O, Azzurri: gran scena di Te-se'-Mona
La Signora Mosca del Burro, Intiggini: Un bel dì vedremo, Tu tu tu tu (altrimenti detta aria del Clacson rotto).
La Rigida, Azzurri: cabaletta del gioire.
Rigatino, Azzurri: aria di Milza.
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