E' di imminente pubblicazione per la nota casa discografica irlandese "Opera vulgaris" la prima pubblicazione integrale, o sedicente tale, del capolavoro del grande compositore partenopeo Titozzo Marchesati Culfranti (Bolzano, Napoli 1702 - ivi 1520), sommo esponente della cosiddetta scuola dei Rantòli. Prima di sottoporre al nostro attento ascolto la registrazione prossima ad uscire, vorremmo offrire ai nostri appassionati lettori una disamina attenta delle fasi compositive di quest'opera ritrovata dopo tanti anni di silenzio.
Un minimo di accenno biografico s'impone, dunque, ma a noi le imposizioni delle case discografiche, pronte ad elargire somme anche rilevanti di denaro onde ottenere critiche favorevoli riguardo a quelli che il mio grande amico Donzelletta chiama, con tutta ragione "parti podalici", non piacciono punto. E quindi vi risparmierò, per onestà intellettuale e deontologica, tale accenno biografico. E d'altronde a poca cosa servirebbe, a fronte di quanto biografismo si cela dietro il nome stesso di Titozzo Marchesati Culfranti, che fu marchese e...
Ma parliamo di quest'opera così raramente data alle scene dei nostri teatri italiani, almeno dal lontano 1865 quando venne rappresentata a Francina Marta con un cast di tutto rispetto, del quale parleremo più soffusamente in seguito.
Un'opera rara, dicevo, ma rara soprattutto per le difficoltà, oggi probabilmente insormontabili, riscontrate nel trovare una giusta misura nel distribuire parti di una difficoltà abnorme come quelle che popolano lo spartito di Culfranti. Culfranti che, lo ricordo una volta per tutte, aveva a disposizione tra in più grandi artisti della sua epoca e scriveva espressamente per le loro potenzialità con una cura quasi maniacale nell'assecondare quello che oggi chiameremmo, più per scarsa comprensione del fenomeno che non per fatuo moralismo, il capriccio del cantante. Capriccio dettato però dalle capacità letteralmente disumane di questi professionisti capaci, secondo le cronache dell'epoca, di effetti sorprendenti e mai banali.
Culfranti venne contattato, e lo sappiamo da lettere di suo pugno, dal Teatro Uccellone di Vinegia già agli inizi del 1725, mentre si trovava in Novedentslacchia in qualità di maestro di cappella della famiglia presidenziale. Poiché il contratto stava per scadere e Culfranti aveva da tempo dismesso le vesti di compositore, ritrovandosi con una rendita assai modesta, si decise ad accettare l'invito del detto teatro e recarsi a Vinegia per prendere accordi riguardo una serie di opere che avrebbero dovuto rappresentarsi in quel teatro nelle quattro stagioni venture. In realtà solo la Frenulide andò in scena, per il Carnevale 1726, con una gestazione lunga, movimentata e, lo possiamo ben dire, sudata. Anzi, proprio madida.
Primo problema: la scelta del soggetto. Qui occorre un piccolo inquadramento storico, di urgenza tanto più sensibile quanto grande è la certa vostra ignoranza in materia: nel 1723 il governo vinegino aveva proclamato che gli atti di sodomia (si avete letto bene) sarebbero stati concessi - in pubblico, giacché non c'era giurisdizione sul privato - soltanto nel terzo giorno dispari di ogni mese. Ora Carnevale quell'anno cadeva di giorno pari e per tale infausto decreto il Teatro Uccellona non poteva mettere in scena il soggetto già prescelto da tempo, ossia il rapimento di Gonadimede da parte di Cazeus. Un nuovo tema doveva essere trovato a breve, nel giro forse di pochi giorni. Giravano allora per tutta l'Italia settentrionale piccoli gruppi di commedianti di strada: a Mestruo, vicino a Vinegia, dove risiedeva il Culfranti in una modesta magione, uno di questi cortei di attori si mise a recitare, a soggetto, una farsa narrante le triste vicende di una principessa di Zoccolia, Frenulide. Frenulide fugge dalla propria città messa a fuoco, fiamme e vaselina dall'oste nemica, recante con sé il vecchio zio Anchisex e il sacro totem, detto Priapopalladio, strappato in tempo dalle fiamme del santuario. Dopo tanto errare e tanto gli esuli approdano presso una costa brulla ma con grandi torri alzate in lontananza: è Coitàge, il regno di Anea, sovrano un tempo esule, a sua volta. E Frenulide incontra Anea e se ne innamora, e da qui tutte le peripezie che narrerremo più tardi analizzando le scene principali dell'opera. Culfranti, estasiato da questo soggetto, e ripulendolo degli elementi non autorizzati, lo presentò ai direttori del teatro, a loro volta soggiogati.
Nessuna difficoltà invece per gli altri primi interpreti: la parte di Anea andò al virato cantore Pietrone Saccaldi, Anchisex fu scritto per il basso profondo Francesco Rantòli detto il Checchino, mentre per il ruolo di Annal, fida sorella di Anea, non vi furono dubbi: con una lettera oggi conservata presso il museo dittatoriale di Roma in provincia di Sanpietro vi è prova certa che sin da subito la prescelta sia stata il grande soprano di coloritura austriaco Adamina Ungher.
Terzo problema: i tempi di composizione. Probabilmente per un disguido da parte dell'Ufficio preposto (ricordo che a Vinegia una parte degli ufficiali contava ancora i giorni secondo il calendario turco), ci si rese conto troppo tardi che il Carnevale non cadeva il terzo giorno dispari del mese. Tutti i preparativi, e con essi la composizione dovettero compiersi in uno spazio di tempo molto ristretto, otto, forse nove giorni appena. E così Culfranti dovette rielaborare materiale della cassata "Gonadimede e Cazeus" e inserire arie da altri melodrammi suoi e di colleghi, in un pastiche compositivo che, pur avendo pochi termini di paragone a quei tempi, stupisce per la grande omogeneità d'insieme e di stile. Una seconda edizione della Frenulide avrà poi gli onori della scena soltanto due anni dopo, ripulita di vecchi cliché e con l'ingresso di un nuovo personaggio, contralto, nella figura estemporanea di Arzillace, sorta di genio della coscienza e prosopopea moralistica in funzione giudicante: infatti la Frenulide venne epurata di tutte le parte più effusive e sprizzanti per essere adattata al rigore quaresimale della provincia di Sanpietro dove venne data l'anno 1728 con altri interpreti di cui purtroppo non ci è giunta la lista (anche se probabilmente, come s'usava in San Pietro, tutte le parti vennero sostenute da virati cantori).
Quarto problema: le fonti. E questo riguarda maggiormente gli odierni esecutori. Lo spartito conservato al Museo Leonino di Vinegia è mutilo delle ultime pagine, e qua e là molte macchie d'umidità e morsi di roditori ne rendono difficile la lettura. Per fortuna a Sanpietro si conserva, in migliore stato, il manoscritto autografo della revisione ventottana: da una ricognizione delle due fonti il grande musicologo Del Baco è riuscito a cavare una bella edizione critica oggi pubblicata dalla casa editrice "Dimenticanze" di Fregate.
[Nelle tre immagini potrete vedere raffigurate le effigi dei tre protagonisti dell'opera ; purtroppo nessun ritratto del primo Anchisex, ossia il Cecchino, è stato ad oggi ritrovato]
Ma veniamo all'analisi della struttura, con commento alle pagine principali dell'opera, che si svolge, secondo lo schema classico dei melodrammi eroici vinegini, in due parti e svariati atti:
Parte Prima
Atto Primo, scene prima e seconda: Frenulide sbarca dalla nave con in spalla il Priapopalladio e portandosi appresso il vecchio zio Anchisex. Ouverture in modo minore, a tempo di 3/8, con lieve ritmo danzante e pizzicato ostinato degli archi. Una pipetta marina (così nella partitura, forse un'oboe in Mi) intona quello che poi verrà percepito come un leitmotiv ante litteram, lieve melodia sincopata. Frenulide depone statua, zio, toga e coturni e rimane in tutta la sua ignuda bellezza a dorarsi a rai del sole.
Scena terza: grande aria assolo di Frenulide "Ah, com'è caldo il sol", in Sol diesis maggiore, a tempo di 4/4, poi 4/3 poi 3/2 poi 2/2 poi 1/1 e ad libitum. Aria detta della tipologia dei sospiri, tipica dell'atmosfera vinegina, con grande escursione vocale fino a toccare il Sol diesis sopracuto picchettato sull'ultima battuta dell'ultima misura.
Scena quarta, quinta e sesta: cassate nell'autografo ventottano, si leggono con molta fatica nella copia vinegina. Scene di massa: le ninfe, i satiri e i venti impazzano per la scena, mentre l'orchestra disegna grandi archi via via spezzettati di suono, coinvolgendo soprattutto il corno marino e la viola d'amore.
Atto Secondo
Scena prima: sortita di Anea, accompagnato dalla fida sorella Annal. Il re guerriero vede in lontananza la bella Frenulide e le rivolge un conturbante assol: "Fiera beltade, mi molce il cor e impietra il resto". L'aria è speculare alla prima di Frenulide, ma la tessitura è più contenuta, in una tonalità più convenzionale di Do bemolle maggiore.
Scena seconda: Annal, finito l'assolo di Anea, lo rimprovera per passare il suo tempo a riminare fanciulle straniere, in uno scatenato "Presto" a tempo sincopato, di grandissimo virtuosismo che comincia con "Barbaro, e me lasci sola". Alla battuta 58, scritto di pugno, pare, dalla Ungher stessa sulla copia vinegina (che qualcuno ha definito "copia del regista"), leggiamo: "Qui si squarzia il vestitto come a rabbia".
Scena terza: duetto di consolazione tra Anea e Annal, in un dolce tempo di 2/4, in mi diesis maggiore "Consolati, gentil sorella e vieni al petto mio"
Scena quarta: Anchisex, allonanatosi a gran fatica dalla spiaggia ov'era approdato con la nipote, si nasconde dietro un cipresso e rimira gli atti dei due principi. Intona la sua prima aria solista, che comincia a stento e dura poco: "O qual vision graziosa".
Scena quinta: Anea, sentito in lontananza un rumore tra le fronde, si precipita verso Anchisex e lo trova tra i rami del cipresso. Dal furore il re guerriero intona un'aria di vendetta, violento 4/4 con grande uso di colorature e giochi pirotecnici dell'orchestra: "Deponi quel baston, vegliardo insano".
Atto terzo:
Scena prima: Frenulide ode da lontano le urla di spavento del vecchio zio. Afferrato il Priapopalladio sale la rupestre roccia e soccorre il vegliardo tenuto fermo da Annal. "No, fermate, fermate, o crudi, egli è parente a me", recitativo declamato "attutta fortia" (sic nel manoscritto vinegino). La giovane nel grande spavento lascia cadere, di nuovo, tunica e coturni.
Scena secondo: Anea è sconvolto da tanta femminile disperazione e cede ai suoi begli argomenti. "Siano sciolti i ceppi suoi", breve arioso in si diesis minore, con gioco a canone tra la pipetta (leitmotiv di cui sopra) e la voce solista.
Scena terza: Frenulide si sente sopraffatta da tanta grazia virile, e ringrazia accorata con una lungua aria di seduzione "Rispondi, rispondi al mio delirio", in 4/4, fa bemolle maggiore.
Scena quarta: Anea chiede ad Annal di portare Anchisex nel palagio affinché si ristori dal lungo viaggio. Folle di gelosia Annal, pur sapendo che deve ottemperare agli ordini del suo re, non riesce a trattenere un breve assolo di rimprovero: "Tu me da te dividi".
Scena quinta: primo duetto dell'opera, abbastanza breve e di scatenata struttura orchestrale, con svariati cambi di tempo e ritmica indiavolata. Le voci si spostano diametralmente in maniera opposta o simmetrica sul pentagramma. Sovracuti coronati obbligati sull'ultima battuta: in Mi per Anea, un Si per Frenulide. Fine della prima parte.
Seconda parte:
Atto Primo:
Scena prima: nel palagio di Coitàge. Annal e Anchisex fanno più ampia conoscenza. Anchisex intona un lungo recitativo narrativo in cui racconta della sua gioventù "Ah, sono lungi i bei dì", puntuato dalle esclamazioni meravigliate di Annal. Alla battuta 158 del detto recitativo troviamo di nuovo un'annotazione di pungo della Ungher "Quivi alzia la gonna per svellare le malitie".
Scena seconda: Duetto di Annal e Anchisex, poche battute non molto significanti.
Scena terza: Tanto che Annal intona, da par suo, un'altra aria di furore "Così presto, così presto...", in La diesis maggiore.
Scena quarta: Annal chiama le guardie (figuranti) affinché trascinino Anchisex in gattabuia. Anchisex grida "Diletta mia, perdon: lungi dal sacro oggetto in me tutto si sface". Il sacro oggetto è il Priapopalladio rimasto con Frenulide.
Atto Secondo:
Scena prima: nuovo duetto di Frenulide e Anea che da questo punto in poi non hanno più, inspiegabilmente e salvo mancanza delle fonti, un assolo. "Ti godo e ti miro, ti miro e ti godo", con piacevole ritmo "ad altalena".
Scena seconda: irrompe, furente, Annal. Per placarla il duetto s'estende ad un più movimentato terzetto, con medesima tonalità (Fa minore) ma cambio di tempo.
Scena terza: placata Annal spiega i motivi della sua visita sulla spiaggia di Coitàge. Ella è in cerca del Priapopalladio al fine di rendere pieno vigore a Anchisex, ch'ella a deciso di amare come suo sposo.
Scena quarta: duetto della negazione di Anea e Frenulide "No, il simulacro non avrai, ch'a noi troppo utile egli è", cui segue l'ennesima aria di furore di Annal "Infidi, maledetti amanti".
Scena quinta: in un atto di estremo fuore Annal si getta sul Priapopalladio, spronfondando "a peszie" (così nell'autografo) su una sua protuberanza molto aguzza. Ferita a morte Annal impreca alla sua insaziabile brama di... amore "O cruda voglia, o infausto desire".
Scena sesta: onde commemorare l'infausta fine della povera Annal, Anea e Frenulide si lasciano andare ad un ulteriore duetto, più mesto e in modo minore, ma pur sempre con ritornello propulsivo finale che ricalca, nella forma, la stretta degli altri duetti.
Atto terzo:
Scena prima: aria dal carcere di Anchisex, che ricorda le grazie di Annal con un sempre breve assolo "Oh, quant'eri bella, gioia della mia gioire, godere del mio go...": ecco l'unico verso dell'aria.
Scena seconda: arrivano, sempre avvinghiati, Anea e Frenulide a liberare Anchisex, che sprofonda ai piedi del sovrano, implorando il perdono. Egli infatti sente su di sé la colpa della triste fine di Annal.
Scena terza: davanti all'affranto Anchisex i due amanti duettano in un canto di lode per la principessa andata al regno delle ombre "Giovine, bella, scottante puledra".
Scena quarta: Anea decreta che farà innalzare alla sorella un tempio dell'Amore che sovrasterà come una grande torre "rigonvia in sua superna estremitate" il regno di Coitàge.
Scena quinta: dopo un ultimo, breve e scintillante duetto con Frenulide, in Fa maggiore e tempo di 1/1, il Coro di ninfe, venti e satiri s'affacenda sulla scena in un'ultima orgia di note e colori.
Per concludere questo mio primo intervento su questo blog, per il quale ringrazio sentitamente i due illustri suoi fondatori, non posso che citare un brano di una lettera dello stesso Culfranti al suo amico intimo, il baritono Giannotto Luchino del Tacerbello, che probabilmente fu il primo interprete della quinta Missa defunctorum:
"Quando ancora solazzato e biscazzando nelle turpitudini di bella gioventude, e voi ancor nel seno d'Abramo foste, io composi in quel di Vinegia una commedia eroica di sapore antico, tolta com'era dalle favole de' nostri aviti parenti. Ella trattava degli amori stupendi d'una principessa fuggiasca e d'un re pugnace, e dovetti componerla in pochi giorni, dacché il bel Teatro di quella cittade dopo avermi commandato un dramma sulle peripezie di Gonadimede, dovette piegare la fronte a una legge ingiusta e censoria, e riunziare ad esso in favore di più miti argomenti. E così musicai la Frenulide, e senz'immodestia, con grande mio successo, non che diletto. Anchora oggi la Frenulide viene data a' più grandi teatri, ma gia mai la risentirò e rimirerò come alla prima rappresentazione, cantata com'era da quattro grandi artisti per i quali appositamente scrissi arie a' solo e addue di bell'acqua ; cantavano infatti la Magrolina, il Saccaldi, l'austriaca Ungher e il Checchino. Bei dì di gioventù, come fuggiste, lasciando me misero nell'afflitta vecchiezza" etc.
Un minimo di accenno biografico s'impone, dunque, ma a noi le imposizioni delle case discografiche, pronte ad elargire somme anche rilevanti di denaro onde ottenere critiche favorevoli riguardo a quelli che il mio grande amico Donzelletta chiama, con tutta ragione "parti podalici", non piacciono punto. E quindi vi risparmierò, per onestà intellettuale e deontologica, tale accenno biografico. E d'altronde a poca cosa servirebbe, a fronte di quanto biografismo si cela dietro il nome stesso di Titozzo Marchesati Culfranti, che fu marchese e...
Ma parliamo di quest'opera così raramente data alle scene dei nostri teatri italiani, almeno dal lontano 1865 quando venne rappresentata a Francina Marta con un cast di tutto rispetto, del quale parleremo più soffusamente in seguito.
Un'opera rara, dicevo, ma rara soprattutto per le difficoltà, oggi probabilmente insormontabili, riscontrate nel trovare una giusta misura nel distribuire parti di una difficoltà abnorme come quelle che popolano lo spartito di Culfranti. Culfranti che, lo ricordo una volta per tutte, aveva a disposizione tra in più grandi artisti della sua epoca e scriveva espressamente per le loro potenzialità con una cura quasi maniacale nell'assecondare quello che oggi chiameremmo, più per scarsa comprensione del fenomeno che non per fatuo moralismo, il capriccio del cantante. Capriccio dettato però dalle capacità letteralmente disumane di questi professionisti capaci, secondo le cronache dell'epoca, di effetti sorprendenti e mai banali.
Culfranti venne contattato, e lo sappiamo da lettere di suo pugno, dal Teatro Uccellone di Vinegia già agli inizi del 1725, mentre si trovava in Novedentslacchia in qualità di maestro di cappella della famiglia presidenziale. Poiché il contratto stava per scadere e Culfranti aveva da tempo dismesso le vesti di compositore, ritrovandosi con una rendita assai modesta, si decise ad accettare l'invito del detto teatro e recarsi a Vinegia per prendere accordi riguardo una serie di opere che avrebbero dovuto rappresentarsi in quel teatro nelle quattro stagioni venture. In realtà solo la Frenulide andò in scena, per il Carnevale 1726, con una gestazione lunga, movimentata e, lo possiamo ben dire, sudata. Anzi, proprio madida.
Primo problema: la scelta del soggetto. Qui occorre un piccolo inquadramento storico, di urgenza tanto più sensibile quanto grande è la certa vostra ignoranza in materia: nel 1723 il governo vinegino aveva proclamato che gli atti di sodomia (si avete letto bene) sarebbero stati concessi - in pubblico, giacché non c'era giurisdizione sul privato - soltanto nel terzo giorno dispari di ogni mese. Ora Carnevale quell'anno cadeva di giorno pari e per tale infausto decreto il Teatro Uccellona non poteva mettere in scena il soggetto già prescelto da tempo, ossia il rapimento di Gonadimede da parte di Cazeus. Un nuovo tema doveva essere trovato a breve, nel giro forse di pochi giorni. Giravano allora per tutta l'Italia settentrionale piccoli gruppi di commedianti di strada: a Mestruo, vicino a Vinegia, dove risiedeva il Culfranti in una modesta magione, uno di questi cortei di attori si mise a recitare, a soggetto, una farsa narrante le triste vicende di una principessa di Zoccolia, Frenulide. Frenulide fugge dalla propria città messa a fuoco, fiamme e vaselina dall'oste nemica, recante con sé il vecchio zio Anchisex e il sacro totem, detto Priapopalladio, strappato in tempo dalle fiamme del santuario. Dopo tanto errare e tanto gli esuli approdano presso una costa brulla ma con grandi torri alzate in lontananza: è Coitàge, il regno di Anea, sovrano un tempo esule, a sua volta. E Frenulide incontra Anea e se ne innamora, e da qui tutte le peripezie che narrerremo più tardi analizzando le scene principali dell'opera. Culfranti, estasiato da questo soggetto, e ripulendolo degli elementi non autorizzati, lo presentò ai direttori del teatro, a loro volta soggiogati.
Secondo problema: il repertimento degli interpreti. A tutti, compositore, impresari, direttori e uomini dabbene venne in mente subito che perfetta creatrice della parte di Frenulide sarebbe stata la grande Elena Stallieri, detta La Magrolina. Questo il vero primo pensiero, e non come si legge nelle frettolose note in calce alla réclame pubblicitaria della ventura pubblicazione, un ripiego estemporaneo. Lo dimostrano le lettere scambiate tra la direzione del Teatro Uccellone e la Stallieri, che allora risiedeva a Roma in provincia di Sanpietro. Ma in un primo momento, l'attempata cantante che veleggiava verso i sessant'anni non se la sentì, pur non essendosi mai veramente ritirata del tutto dai palcoscenici. Si pensò allora ad una più giovane cantante che allora godeva di grande e molto successo, dai mezzi forse meno dirompenti ma sicuramente più pronta all'uso: Giannina Grantrota, poi divenuta assai più celebre della stessa Stallieri per aver interpretato un famoso film muto nel 1750 "L'urlo silente", da allora additato come esempio di malcanto in special modo dal Gabbietti che, nell'onestà a lui solita, la stroncò senza appello in ogni pagina del suo volume sul "Vero canto stilizzato". Ma inspiegabilmente la Grantrota rifiutò, sostenendo di non essere ancora pronta a affrontare un impegno così gravoso presso un Teatro di quelle dimensioni e fama. Si tornò dunque a implorare la Stallieri, che con un innalzamento del cachet e qualche altro favore accettò e si mise in cammino per Vinegia.
Nessuna difficoltà invece per gli altri primi interpreti: la parte di Anea andò al virato cantore Pietrone Saccaldi, Anchisex fu scritto per il basso profondo Francesco Rantòli detto il Checchino, mentre per il ruolo di Annal, fida sorella di Anea, non vi furono dubbi: con una lettera oggi conservata presso il museo dittatoriale di Roma in provincia di Sanpietro vi è prova certa che sin da subito la prescelta sia stata il grande soprano di coloritura austriaco Adamina Ungher.
Terzo problema: i tempi di composizione. Probabilmente per un disguido da parte dell'Ufficio preposto (ricordo che a Vinegia una parte degli ufficiali contava ancora i giorni secondo il calendario turco), ci si rese conto troppo tardi che il Carnevale non cadeva il terzo giorno dispari del mese. Tutti i preparativi, e con essi la composizione dovettero compiersi in uno spazio di tempo molto ristretto, otto, forse nove giorni appena. E così Culfranti dovette rielaborare materiale della cassata "Gonadimede e Cazeus" e inserire arie da altri melodrammi suoi e di colleghi, in un pastiche compositivo che, pur avendo pochi termini di paragone a quei tempi, stupisce per la grande omogeneità d'insieme e di stile. Una seconda edizione della Frenulide avrà poi gli onori della scena soltanto due anni dopo, ripulita di vecchi cliché e con l'ingresso di un nuovo personaggio, contralto, nella figura estemporanea di Arzillace, sorta di genio della coscienza e prosopopea moralistica in funzione giudicante: infatti la Frenulide venne epurata di tutte le parte più effusive e sprizzanti per essere adattata al rigore quaresimale della provincia di Sanpietro dove venne data l'anno 1728 con altri interpreti di cui purtroppo non ci è giunta la lista (anche se probabilmente, come s'usava in San Pietro, tutte le parti vennero sostenute da virati cantori).
Quarto problema: le fonti. E questo riguarda maggiormente gli odierni esecutori. Lo spartito conservato al Museo Leonino di Vinegia è mutilo delle ultime pagine, e qua e là molte macchie d'umidità e morsi di roditori ne rendono difficile la lettura. Per fortuna a Sanpietro si conserva, in migliore stato, il manoscritto autografo della revisione ventottana: da una ricognizione delle due fonti il grande musicologo Del Baco è riuscito a cavare una bella edizione critica oggi pubblicata dalla casa editrice "Dimenticanze" di Fregate.
[Nelle tre immagini potrete vedere raffigurate le effigi dei tre protagonisti dell'opera ; purtroppo nessun ritratto del primo Anchisex, ossia il Cecchino, è stato ad oggi ritrovato]
Ma veniamo all'analisi della struttura, con commento alle pagine principali dell'opera, che si svolge, secondo lo schema classico dei melodrammi eroici vinegini, in due parti e svariati atti:
Parte Prima
Atto Primo, scene prima e seconda: Frenulide sbarca dalla nave con in spalla il Priapopalladio e portandosi appresso il vecchio zio Anchisex. Ouverture in modo minore, a tempo di 3/8, con lieve ritmo danzante e pizzicato ostinato degli archi. Una pipetta marina (così nella partitura, forse un'oboe in Mi) intona quello che poi verrà percepito come un leitmotiv ante litteram, lieve melodia sincopata. Frenulide depone statua, zio, toga e coturni e rimane in tutta la sua ignuda bellezza a dorarsi a rai del sole.
Scena terza: grande aria assolo di Frenulide "Ah, com'è caldo il sol", in Sol diesis maggiore, a tempo di 4/4, poi 4/3 poi 3/2 poi 2/2 poi 1/1 e ad libitum. Aria detta della tipologia dei sospiri, tipica dell'atmosfera vinegina, con grande escursione vocale fino a toccare il Sol diesis sopracuto picchettato sull'ultima battuta dell'ultima misura.
Scena quarta, quinta e sesta: cassate nell'autografo ventottano, si leggono con molta fatica nella copia vinegina. Scene di massa: le ninfe, i satiri e i venti impazzano per la scena, mentre l'orchestra disegna grandi archi via via spezzettati di suono, coinvolgendo soprattutto il corno marino e la viola d'amore.
Atto Secondo
Scena prima: sortita di Anea, accompagnato dalla fida sorella Annal. Il re guerriero vede in lontananza la bella Frenulide e le rivolge un conturbante assol: "Fiera beltade, mi molce il cor e impietra il resto". L'aria è speculare alla prima di Frenulide, ma la tessitura è più contenuta, in una tonalità più convenzionale di Do bemolle maggiore.
Scena seconda: Annal, finito l'assolo di Anea, lo rimprovera per passare il suo tempo a riminare fanciulle straniere, in uno scatenato "Presto" a tempo sincopato, di grandissimo virtuosismo che comincia con "Barbaro, e me lasci sola". Alla battuta 58, scritto di pugno, pare, dalla Ungher stessa sulla copia vinegina (che qualcuno ha definito "copia del regista"), leggiamo: "Qui si squarzia il vestitto come a rabbia".
Scena terza: duetto di consolazione tra Anea e Annal, in un dolce tempo di 2/4, in mi diesis maggiore "Consolati, gentil sorella e vieni al petto mio"
Scena quarta: Anchisex, allonanatosi a gran fatica dalla spiaggia ov'era approdato con la nipote, si nasconde dietro un cipresso e rimira gli atti dei due principi. Intona la sua prima aria solista, che comincia a stento e dura poco: "O qual vision graziosa".
Scena quinta: Anea, sentito in lontananza un rumore tra le fronde, si precipita verso Anchisex e lo trova tra i rami del cipresso. Dal furore il re guerriero intona un'aria di vendetta, violento 4/4 con grande uso di colorature e giochi pirotecnici dell'orchestra: "Deponi quel baston, vegliardo insano".
Atto terzo:
Scena prima: Frenulide ode da lontano le urla di spavento del vecchio zio. Afferrato il Priapopalladio sale la rupestre roccia e soccorre il vegliardo tenuto fermo da Annal. "No, fermate, fermate, o crudi, egli è parente a me", recitativo declamato "attutta fortia" (sic nel manoscritto vinegino). La giovane nel grande spavento lascia cadere, di nuovo, tunica e coturni.
Scena secondo: Anea è sconvolto da tanta femminile disperazione e cede ai suoi begli argomenti. "Siano sciolti i ceppi suoi", breve arioso in si diesis minore, con gioco a canone tra la pipetta (leitmotiv di cui sopra) e la voce solista.
Scena terza: Frenulide si sente sopraffatta da tanta grazia virile, e ringrazia accorata con una lungua aria di seduzione "Rispondi, rispondi al mio delirio", in 4/4, fa bemolle maggiore.
Scena quarta: Anea chiede ad Annal di portare Anchisex nel palagio affinché si ristori dal lungo viaggio. Folle di gelosia Annal, pur sapendo che deve ottemperare agli ordini del suo re, non riesce a trattenere un breve assolo di rimprovero: "Tu me da te dividi".
Scena quinta: primo duetto dell'opera, abbastanza breve e di scatenata struttura orchestrale, con svariati cambi di tempo e ritmica indiavolata. Le voci si spostano diametralmente in maniera opposta o simmetrica sul pentagramma. Sovracuti coronati obbligati sull'ultima battuta: in Mi per Anea, un Si per Frenulide. Fine della prima parte.
Seconda parte:
Atto Primo:
Scena prima: nel palagio di Coitàge. Annal e Anchisex fanno più ampia conoscenza. Anchisex intona un lungo recitativo narrativo in cui racconta della sua gioventù "Ah, sono lungi i bei dì", puntuato dalle esclamazioni meravigliate di Annal. Alla battuta 158 del detto recitativo troviamo di nuovo un'annotazione di pungo della Ungher "Quivi alzia la gonna per svellare le malitie".
Scena seconda: Duetto di Annal e Anchisex, poche battute non molto significanti.
Scena terza: Tanto che Annal intona, da par suo, un'altra aria di furore "Così presto, così presto...", in La diesis maggiore.
Scena quarta: Annal chiama le guardie (figuranti) affinché trascinino Anchisex in gattabuia. Anchisex grida "Diletta mia, perdon: lungi dal sacro oggetto in me tutto si sface". Il sacro oggetto è il Priapopalladio rimasto con Frenulide.
Atto Secondo:
Scena prima: nuovo duetto di Frenulide e Anea che da questo punto in poi non hanno più, inspiegabilmente e salvo mancanza delle fonti, un assolo. "Ti godo e ti miro, ti miro e ti godo", con piacevole ritmo "ad altalena".
Scena seconda: irrompe, furente, Annal. Per placarla il duetto s'estende ad un più movimentato terzetto, con medesima tonalità (Fa minore) ma cambio di tempo.
Scena terza: placata Annal spiega i motivi della sua visita sulla spiaggia di Coitàge. Ella è in cerca del Priapopalladio al fine di rendere pieno vigore a Anchisex, ch'ella a deciso di amare come suo sposo.
Scena quarta: duetto della negazione di Anea e Frenulide "No, il simulacro non avrai, ch'a noi troppo utile egli è", cui segue l'ennesima aria di furore di Annal "Infidi, maledetti amanti".
Scena quinta: in un atto di estremo fuore Annal si getta sul Priapopalladio, spronfondando "a peszie" (così nell'autografo) su una sua protuberanza molto aguzza. Ferita a morte Annal impreca alla sua insaziabile brama di... amore "O cruda voglia, o infausto desire".
Scena sesta: onde commemorare l'infausta fine della povera Annal, Anea e Frenulide si lasciano andare ad un ulteriore duetto, più mesto e in modo minore, ma pur sempre con ritornello propulsivo finale che ricalca, nella forma, la stretta degli altri duetti.
Atto terzo:
Scena prima: aria dal carcere di Anchisex, che ricorda le grazie di Annal con un sempre breve assolo "Oh, quant'eri bella, gioia della mia gioire, godere del mio go...": ecco l'unico verso dell'aria.
Scena seconda: arrivano, sempre avvinghiati, Anea e Frenulide a liberare Anchisex, che sprofonda ai piedi del sovrano, implorando il perdono. Egli infatti sente su di sé la colpa della triste fine di Annal.
Scena terza: davanti all'affranto Anchisex i due amanti duettano in un canto di lode per la principessa andata al regno delle ombre "Giovine, bella, scottante puledra".
Scena quarta: Anea decreta che farà innalzare alla sorella un tempio dell'Amore che sovrasterà come una grande torre "rigonvia in sua superna estremitate" il regno di Coitàge.
Scena quinta: dopo un ultimo, breve e scintillante duetto con Frenulide, in Fa maggiore e tempo di 1/1, il Coro di ninfe, venti e satiri s'affacenda sulla scena in un'ultima orgia di note e colori.
Per concludere questo mio primo intervento su questo blog, per il quale ringrazio sentitamente i due illustri suoi fondatori, non posso che citare un brano di una lettera dello stesso Culfranti al suo amico intimo, il baritono Giannotto Luchino del Tacerbello, che probabilmente fu il primo interprete della quinta Missa defunctorum:
"Quando ancora solazzato e biscazzando nelle turpitudini di bella gioventude, e voi ancor nel seno d'Abramo foste, io composi in quel di Vinegia una commedia eroica di sapore antico, tolta com'era dalle favole de' nostri aviti parenti. Ella trattava degli amori stupendi d'una principessa fuggiasca e d'un re pugnace, e dovetti componerla in pochi giorni, dacché il bel Teatro di quella cittade dopo avermi commandato un dramma sulle peripezie di Gonadimede, dovette piegare la fronte a una legge ingiusta e censoria, e riunziare ad esso in favore di più miti argomenti. E così musicai la Frenulide, e senz'immodestia, con grande mio successo, non che diletto. Anchora oggi la Frenulide viene data a' più grandi teatri, ma gia mai la risentirò e rimirerò come alla prima rappresentazione, cantata com'era da quattro grandi artisti per i quali appositamente scrissi arie a' solo e addue di bell'acqua ; cantavano infatti la Magrolina, il Saccaldi, l'austriaca Ungher e il Checchino. Bei dì di gioventù, come fuggiste, lasciando me misero nell'afflitta vecchiezza" etc.
Tutto ciò è molto bello.
RispondiEliminaAdesso porrei le seguenti domande:
1 - chi canta nell'edizione discografica che proponete?
2 - i cantanti sono in maschera e sul fiato?
3 - le cantanti sono gnocche - come costuma oggidì - o sono dei rutti, ma espressive?
4 - non vi ricorda la famosa "Ifigonia in Culide" quando si arriva al celeberrimo verso "Nel dì di Giunòlo con mossa pudica, madonna Ifigonia lavossi la f**a"?
5 - non vedo il contatore del sito: a quanti accessi siete arrivati?
Ringrazio anticipatamente per le risposte, oltre che per la logorr... ehm, per la dotta dissertazione e passo a ben distintamente salutarVi.
PS Sapete che sembrate veramente gli originali che si divertono a farsi da soli la parodia?
Salve fedele PB, rispondo solo alla sua ultima domanda, giacchè alle altre penserà l'amico Gigì del Praz, dicendole che gli accessi sono, ovviamente, vista la divina e stilizzata sapientia che promana la nostra persona, moltissimi, proprio in questi giorni verrà pubblicato un apposito articolo.
RispondiEliminaGP
P.S.: Originali? Noi siamo gli originali...
Gentile Bagnoli,
RispondiEliminaio, dietro invito espresso della divina Signora Pasta, non posso rispondere che alla quarta sua domanda, giacché La prego sin da ora di aspettare domani per leggere, direttamente dall'agile penna di Donzelletta, dettagli e recensioni dell'edizione discrografica uscita in questi giorni per la Opera Vulgaris di Belfast.
Non conosco l'Ifigonia in Culide, ed è grande mia mancanza di insigne musicologo quale spero Lei e tutti i nostri lettori (il numero effettivo verrà svelato prossimamente ed è oggetto di grande segreto, al momento) vorrete definirmi. Ovvierò a questa parvula ignoranza, nella speranza che il suo invito a tale lettura sia mosso da buoni propositi e non per canzonare questa sede di alta diffusione culturale.
La prego dunque di aspettare domani per la recensione e di rimanere connesso con la di noi alta scienza, per suo onore e nostra bontà.
Un distinto saluto dal suo Gigì.
(Mi chiaman... GIGI L'AMOROOOOSOOOOO)
Ps: gli originali? di quali originali parla? forse quelli custoditi presso la biblioteca democratica dell'Havana?
Intanto voglio ringraziare il signor Del Praz per il suo preciso intervento e per la sua grande scienza che mette a servizio di noi del Cazziere e la divina Pasta soltanto per esistere e per avermi cantato come solo lei può un'aria della Frenulide proprio ieri mattina tanto bene che nemmeno la Sferetti mi ha mai tanto turbato i sensi.
RispondiEliminaSpero che il lettore Bagnoli sarà accontentato anche se voce in seno mi dice che egli invece apprezzerà moltissimo l'edizione Opera vulgaris... unicuique excrementum suum come scrisse il Gabbietti.
GDL
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