sabato 28 febbraio 2009
Quinquagesima
In rito nettarosiano allo scadere della mezzanotte inizia la Quinquagesima.
Essendo il periodo di quinquagesima periodo di pentimento sì, ma allo stesso tempo di riflessione e meditazione, noi del cazziere abbiamo deciso di riflettere e meditare, tramite un lungo periodo di penitenza, sulla decadenza del canto stilizzato, che ci pare in assoluto la cosa più importante su cui riflettere. E chi se ne frega se la gente muore per guerre e malattie, il canto stilizzato è senza dubbio più importante.
Abbiamo deciso di cominciare il nostro periodo di penitenza con un autentico flagggèllo de Dddio, non già l’Attila di Sorginlampo, bensì i classicari: una vera piaga, emblema della decadenza degli ancestrali valori del VCS oggi irrimediabilmente perduti.
E con la speranza che questo periodo di pentimento e riflessione porti le nostre stilizzate anime, e in particolar modo le vostre destilizzate e peccatrici ad un ultronea e stilizzata presa di coscienza circa l’autenticità del VCS, ma soprattutto con la speranza che i classicari vengano cancellati dalla faccia della terra per sempre, diamo inizio a questo periodo di quinquagesima che ogni venerdì ci vedrà compagni nella sofferenza, e in cui i belati di capra saranno fraterni al nostro dolore, per arrivare alla pasqua musicale in cui i valori del VCS resusciteranno almeno per un giorno. Perdonate la Donzelleopardite che mi ha assalito al periodo precedente ma l’ultronea ispirazione non si può frenare.
Donna Giuditta Pasta, Signor Giacomo Donzelletta Leopardi, Monsieur Gigì Del Praz
Le dieci piaghe (le arie sceglietevele voi, in bocca ad essi una vale l’altra)
Fagiolia Sbattoli
Sony Aspirina
Falsica Immutemi
Carlo Conigliore
Simo Alchermes
Marijuana Mijlasivic
Vifica Sansgene
Fagiolia Sbattoli
Lelly Winter
Massimiliano Emanuele Stracci
Bonus curse
Filippo Giarrusco
giovedì 26 febbraio 2009
2.000.000 di contatti!!! Si festeggia col belcanto (tanto per cambiare)
Il nostro stilizzatissimo blog raggiunge oggi i 2.000.000 di contatti. Inevitabile la cosa considerato la divina sapientia che spargiamo a piene mani sopra i vostri capi di stilizzazione incerta, nel tentativo di rendervi sempre più edotti e stilizzati nei gusti e nei ragionamenti. Indi per cui perciò proseguiamo in questo giorno di festa nella nostra missione evangelica ispirata ai sacri valori del VCS proponendo a voi, nostri discepoli, ascolti degni di questo giorno. Un pout pourrì belcantistico dove nomi quali De Lafosse, Sferetti, Corno, Northerland fino alle Accordi e Pentazzoni di inizio ‘900 ripuliranno le vostre orecchie di merda ripiene causa le orrende ed esofagee odierne urlatrici…hem…attrici di muto…hem… cantanti (almeno vorrebbero esserlo!)!!! Riproporremo in questo giorno di festa ascolti dai più alti componimenti belcantistici oggi finiti in soffitta per mancanza di interpreti, riscoprendo i capolavori dimenticati di autori quali Gustava Dandolo in Culfranti (“La Topa e il Sacro”, “Il falconiere”) o Andreozzo Biscazzieri autore della celebre “Venere deflorata” (degna di menzione è pure la rarissima “Vergine cagna”, su libretto del celebre Peppe Disparini), o ancora lo stesso Marchesati Culfranti che ricorderemo oggi sia per l’opera, ai più sconosciuta, “Le caldi notti di Poppea”, sia per la celeberrima Frenulide in Coitage (in tal proposito invito i nostri lettori a leggere l’ampia dissertazione su questo autentico caposaldo e sulla recente uscita discografica, ad opera dei collaboratori Gigì del Praz e Giacomo Donzelletta Leopardi), di cui proporremo l’ascolto del recitativo ed aria di sortita di Annal “Per quel Frenulo assai corto…Anea si strugge tra atroci tormenti” nelle interpretazioni di Gabri Sferetti, nella già menzionata esecuzione di Francina Marta, e di Jenny Northerland nell’incisione in studio dell’aria tratta dal celebre recital “VCS Arias” inciso per la Mecca nel 1962.
Programma
La Topa e il Sacro – Il dolor di questo Imene – Francine De Lafosse (link alternativo)
La Topa e il Sacro – Per amore della Topa - Pino Biondino (link alternativo)
Il Falconiere – Quell’uccello benedetto – Mariolina Corno (link alternativo)
Venere deflorata – Aita! Aita! La mia verginità perduta – Gabri Sferetti (link alternativo) Luigia Pentazzoni (link alternativo)
Le calde notti di Poppea – Le mie odorose Mamme – Guendalina Accordi
Frenulide in Coitage – Per quel frenulo assai corto…Anea si strugge tra atroci tormenti – Gabri Sferetti (link alternativo) Jenny Northerland (link alternativo)
Buon Ascolto!
martedì 24 febbraio 2009
Giuditta magnanimamente concede Chat ai suoi lettori
Oggi in preda ad un attacco di panico dovuto alle facce vuote delle persone che accanto mi passavan per la via, prive di ogni cognizione circa i sacri valori del VCS, ed in seguito alle vostre numerosissime domande e partecipazioni (a breve uscirà un articolo in merito) al nostro stilizzato Cazziere, che senza mezzi termini rappresenta un luminoso faro di salvezza in mezzo alla buia notte della ragione canora, ho deciso di concedere a voi subumani lettori questa chat, affinché i vostri dubbi in merito al VCS vengano più facilmente chiariti portando le vostre ottenebrate menti a ben più alte vette.
Per i dovuti ringraziamenti potete lasciare un commento a questo messaggio o scrivere direttamente sulla chat
Vostra Divina
GP
lunedì 23 febbraio 2009
Opera Vulgaris pubblica la "Frenulide in Coitàge" - son tempi di vacche magre
Ma veniamo all'hicchetenunc... Ci fosse la grande Coppiera Stimazzi da par suo alzerebbe uno dei suoi celebri "Vergogna, Vergogna" e noi con lei. La casa editrice di Belfast, Opera Vulgaris, non paga di averci lacerato il labirinto e il coclide delle nostre povere orecchie già tanto sanguinose e martoriate, non paga di aver dato a semiprofessionisti del canto un'eco mondiale del tutto immeritata, non paga infine di aver sfrucugliato nelle tombe del passato per trarne vivissima musica destinata a imputridire come il bianco corpo incorrotto d'una vergine estratto dalla terra ove giaceva beato e messo a contatto con l'aere maligno, non paga di averci sfrantecato i maroni, ecco che pubblica una sedicente edizione "integrale" della bellissima e eccitante Frenulide in Coitàge.
Naturalmente come spesso accade in queste ultronee e improvvisate musicacchiate si sceglie la prima edizione di un'opera antica, come se fosse quella migliore, si spopola l'orchestra e si sceglie la linea del minor virtuosismo e della minor sontuosità possibile quasi non ci fosse fondo al peggio del pessimo e che non ci sia una qualsivoglia tendenza al rispetto di una cosa sacra per noi e che è la stilizzatezza ma andiamo per ordine.
Il cast è di quattro elementi gia che seguendo la prime editione del 1726 non è stata accolta la parte di Arzillace e ne ringraziamo il Cielo poiché molto probabilmente avremo dovuto sopportare i gemiti subinguinali del contralto de nomine di turno e quindi è molto meglio così, tutto visto e considerato. Primadonna interprete del ruolo di Frenulide è la solita Plebea Carciofi che come il Nome tanto reclamato indica sarebbe più gustosa in pinzimonio e senza bisogno d'aggiunte di aceto tanto acidosi sono gli strappi uterini che promanano dalla sua bocca quando affronta i perigliosi passaggi acuti che la parte di Frenulide assomma specie alla fine degli esaltanit assoli "Com'è chiaro il sol" con il suo continuo incedere verso ritmi più brevi e la possibilità di aggiunta di terzine virtuosistiche sul passaggio sol1-sol7 e tutti gli effetti speciali tanto cari al pubblico di quel periodo. Non manca di musicalità, la Carciofi e di intenzioni interpretative ma equivoca completamente la parte che andrebbe interpretata con voce ampia e sontuosa nonché naturalmente stilizzata e non da latrante adatta giusto alla parte di Beatina o qualche altra sconcezza falsista ;: la sua Frenulide pare uscita dal noto film del 1750 "L'urlo silente" che va a disdoro dell'ingegno umano.
Nel ruolo di Annal, seconda donna e nominalmente un soprano di coloritura che però non può esimersi da essere voce sontuosa, in maschera e girata sul fiato nonche stilizzata inutile ripetersi ma repetita juvant e soprattutto a voi che non capito che poco meno di niente ma la cantante qui chiamata Ilania Melosuc, altra grande esponente del canto alla Luigia Pavona spingi spingi che lo stringi non sa rendere lo stile esatto di questa parte ove s'intrecciano melodie rabbiosissime ma che sempre dovrebbero essere alte in maschera e stilizzate perché non è Annal la Beatina di Cavalleria urbana ma una principessa sorella di un re che poi le piaccia il bastone non vuol dire che sia una bagascia di second'ordine ma semmai di primo se proprio vultis.
Difficile non fare un po' d'ordine mentale quando si parla della parte di Anea, scritta per un virato cantore e quindi improponibile oggi dacché di cantori virati non ce n'è nemmeno l'ombra tutti sostituiti come sono dai tempi di Giuseppe Della Suora da voci anemiche e vuote in basso come in alto in modo del tutto antistorico e imposte dalle case discografiche e dai classiccari nonostante sia di specchiata evidenza che Culfranti mai ma poi mai avrebbe accettato di far cantare le sue parti per virato cantore da un qualsiasi tenore o baritono quando poteva avere al loro posto un manzo da monta o un mandrillo infojato e questa scelta naturalmente per le de cujus questioni di musicacchiologia non è stata minimamente presa in considerazione infatti il povero cantante groenlandese Paul Whitelee fa quel che può cempennando agilità e quante altre difficoltà la sua parte assommi ed è poco stilizzato e poco convincente dacché come dettò il Gabbietti in una nota lezione che fece al grande e vero ultimo virato cantore Mario Bianchini "Stilefactio in canto est firmamentum bonae artis, quamobrem si non stilefacte sonum facias testiculos descendent et vocem Della Suorae habebis, quod est malum in verum cantum stilefactum".
Portoghesi voce invero poco stilizzata ma simpatico interprete è forse il più convincente del quadrivio forse perché la convincevolezza dei suoi interventi è direttamente proporzionale alla loro brevità e di questo Portoghesi ringrazi il Culfranti che ha fatto di Anchisex un ejaculator precox.
Brunetto Malini dirige un'orchestra ridotta a 20/25 elementi con forti stonature e momenti di totale scollamento tanto che l'intera incisione pare più il frutto di un'improvvisazione sulla piazza del mercato comunale di Sciacca in provincia di Cremona che non un prodotto destinato al commercio ma pecunia non olet e vengan denari al resto son qua io.
Molto male dunque, non se ne sentiva la mancanza, e noi torniamo ai cilindri effettuati nel 1865 a Francina Marta con il desiderio di farveli ascoltare presto.
sabato 21 febbraio 2009
La Frenulide in Coitàge di Marchesati Culfranti - tempi e modi di una composizione sudatissima
Un minimo di accenno biografico s'impone, dunque, ma a noi le imposizioni delle case discografiche, pronte ad elargire somme anche rilevanti di denaro onde ottenere critiche favorevoli riguardo a quelli che il mio grande amico Donzelletta chiama, con tutta ragione "parti podalici", non piacciono punto. E quindi vi risparmierò, per onestà intellettuale e deontologica, tale accenno biografico. E d'altronde a poca cosa servirebbe, a fronte di quanto biografismo si cela dietro il nome stesso di Titozzo Marchesati Culfranti, che fu marchese e...
Ma parliamo di quest'opera così raramente data alle scene dei nostri teatri italiani, almeno dal lontano 1865 quando venne rappresentata a Francina Marta con un cast di tutto rispetto, del quale parleremo più soffusamente in seguito.
Un'opera rara, dicevo, ma rara soprattutto per le difficoltà, oggi probabilmente insormontabili, riscontrate nel trovare una giusta misura nel distribuire parti di una difficoltà abnorme come quelle che popolano lo spartito di Culfranti. Culfranti che, lo ricordo una volta per tutte, aveva a disposizione tra in più grandi artisti della sua epoca e scriveva espressamente per le loro potenzialità con una cura quasi maniacale nell'assecondare quello che oggi chiameremmo, più per scarsa comprensione del fenomeno che non per fatuo moralismo, il capriccio del cantante. Capriccio dettato però dalle capacità letteralmente disumane di questi professionisti capaci, secondo le cronache dell'epoca, di effetti sorprendenti e mai banali.
Culfranti venne contattato, e lo sappiamo da lettere di suo pugno, dal Teatro Uccellone di Vinegia già agli inizi del 1725, mentre si trovava in Novedentslacchia in qualità di maestro di cappella della famiglia presidenziale. Poiché il contratto stava per scadere e Culfranti aveva da tempo dismesso le vesti di compositore, ritrovandosi con una rendita assai modesta, si decise ad accettare l'invito del detto teatro e recarsi a Vinegia per prendere accordi riguardo una serie di opere che avrebbero dovuto rappresentarsi in quel teatro nelle quattro stagioni venture. In realtà solo la Frenulide andò in scena, per il Carnevale 1726, con una gestazione lunga, movimentata e, lo possiamo ben dire, sudata. Anzi, proprio madida.
Primo problema: la scelta del soggetto. Qui occorre un piccolo inquadramento storico, di urgenza tanto più sensibile quanto grande è la certa vostra ignoranza in materia: nel 1723 il governo vinegino aveva proclamato che gli atti di sodomia (si avete letto bene) sarebbero stati concessi - in pubblico, giacché non c'era giurisdizione sul privato - soltanto nel terzo giorno dispari di ogni mese. Ora Carnevale quell'anno cadeva di giorno pari e per tale infausto decreto il Teatro Uccellona non poteva mettere in scena il soggetto già prescelto da tempo, ossia il rapimento di Gonadimede da parte di Cazeus. Un nuovo tema doveva essere trovato a breve, nel giro forse di pochi giorni. Giravano allora per tutta l'Italia settentrionale piccoli gruppi di commedianti di strada: a Mestruo, vicino a Vinegia, dove risiedeva il Culfranti in una modesta magione, uno di questi cortei di attori si mise a recitare, a soggetto, una farsa narrante le triste vicende di una principessa di Zoccolia, Frenulide. Frenulide fugge dalla propria città messa a fuoco, fiamme e vaselina dall'oste nemica, recante con sé il vecchio zio Anchisex e il sacro totem, detto Priapopalladio, strappato in tempo dalle fiamme del santuario. Dopo tanto errare e tanto gli esuli approdano presso una costa brulla ma con grandi torri alzate in lontananza: è Coitàge, il regno di Anea, sovrano un tempo esule, a sua volta. E Frenulide incontra Anea e se ne innamora, e da qui tutte le peripezie che narrerremo più tardi analizzando le scene principali dell'opera. Culfranti, estasiato da questo soggetto, e ripulendolo degli elementi non autorizzati, lo presentò ai direttori del teatro, a loro volta soggiogati.
Nessuna difficoltà invece per gli altri primi interpreti: la parte di Anea andò al virato cantore Pietrone Saccaldi, Anchisex fu scritto per il basso profondo Francesco Rantòli detto il Checchino, mentre per il ruolo di Annal, fida sorella di Anea, non vi furono dubbi: con una lettera oggi conservata presso il museo dittatoriale di Roma in provincia di Sanpietro vi è prova certa che sin da subito la prescelta sia stata il grande soprano di coloritura austriaco Adamina Ungher.
Terzo problema: i tempi di composizione. Probabilmente per un disguido da parte dell'Ufficio preposto (ricordo che a Vinegia una parte degli ufficiali contava ancora i giorni secondo il calendario turco), ci si rese conto troppo tardi che il Carnevale non cadeva il terzo giorno dispari del mese. Tutti i preparativi, e con essi la composizione dovettero compiersi in uno spazio di tempo molto ristretto, otto, forse nove giorni appena. E così Culfranti dovette rielaborare materiale della cassata "Gonadimede e Cazeus" e inserire arie da altri melodrammi suoi e di colleghi, in un pastiche compositivo che, pur avendo pochi termini di paragone a quei tempi, stupisce per la grande omogeneità d'insieme e di stile. Una seconda edizione della Frenulide avrà poi gli onori della scena soltanto due anni dopo, ripulita di vecchi cliché e con l'ingresso di un nuovo personaggio, contralto, nella figura estemporanea di Arzillace, sorta di genio della coscienza e prosopopea moralistica in funzione giudicante: infatti la Frenulide venne epurata di tutte le parte più effusive e sprizzanti per essere adattata al rigore quaresimale della provincia di Sanpietro dove venne data l'anno 1728 con altri interpreti di cui purtroppo non ci è giunta la lista (anche se probabilmente, come s'usava in San Pietro, tutte le parti vennero sostenute da virati cantori).
Quarto problema: le fonti. E questo riguarda maggiormente gli odierni esecutori. Lo spartito conservato al Museo Leonino di Vinegia è mutilo delle ultime pagine, e qua e là molte macchie d'umidità e morsi di roditori ne rendono difficile la lettura. Per fortuna a Sanpietro si conserva, in migliore stato, il manoscritto autografo della revisione ventottana: da una ricognizione delle due fonti il grande musicologo Del Baco è riuscito a cavare una bella edizione critica oggi pubblicata dalla casa editrice "Dimenticanze" di Fregate.
[Nelle tre immagini potrete vedere raffigurate le effigi dei tre protagonisti dell'opera ; purtroppo nessun ritratto del primo Anchisex, ossia il Cecchino, è stato ad oggi ritrovato]
Ma veniamo all'analisi della struttura, con commento alle pagine principali dell'opera, che si svolge, secondo lo schema classico dei melodrammi eroici vinegini, in due parti e svariati atti:
Parte Prima
Atto Primo, scene prima e seconda: Frenulide sbarca dalla nave con in spalla il Priapopalladio e portandosi appresso il vecchio zio Anchisex. Ouverture in modo minore, a tempo di 3/8, con lieve ritmo danzante e pizzicato ostinato degli archi. Una pipetta marina (così nella partitura, forse un'oboe in Mi) intona quello che poi verrà percepito come un leitmotiv ante litteram, lieve melodia sincopata. Frenulide depone statua, zio, toga e coturni e rimane in tutta la sua ignuda bellezza a dorarsi a rai del sole.
Scena terza: grande aria assolo di Frenulide "Ah, com'è caldo il sol", in Sol diesis maggiore, a tempo di 4/4, poi 4/3 poi 3/2 poi 2/2 poi 1/1 e ad libitum. Aria detta della tipologia dei sospiri, tipica dell'atmosfera vinegina, con grande escursione vocale fino a toccare il Sol diesis sopracuto picchettato sull'ultima battuta dell'ultima misura.
Scena quarta, quinta e sesta: cassate nell'autografo ventottano, si leggono con molta fatica nella copia vinegina. Scene di massa: le ninfe, i satiri e i venti impazzano per la scena, mentre l'orchestra disegna grandi archi via via spezzettati di suono, coinvolgendo soprattutto il corno marino e la viola d'amore.
Atto Secondo
Scena prima: sortita di Anea, accompagnato dalla fida sorella Annal. Il re guerriero vede in lontananza la bella Frenulide e le rivolge un conturbante assol: "Fiera beltade, mi molce il cor e impietra il resto". L'aria è speculare alla prima di Frenulide, ma la tessitura è più contenuta, in una tonalità più convenzionale di Do bemolle maggiore.
Scena seconda: Annal, finito l'assolo di Anea, lo rimprovera per passare il suo tempo a riminare fanciulle straniere, in uno scatenato "Presto" a tempo sincopato, di grandissimo virtuosismo che comincia con "Barbaro, e me lasci sola". Alla battuta 58, scritto di pugno, pare, dalla Ungher stessa sulla copia vinegina (che qualcuno ha definito "copia del regista"), leggiamo: "Qui si squarzia il vestitto come a rabbia".
Scena terza: duetto di consolazione tra Anea e Annal, in un dolce tempo di 2/4, in mi diesis maggiore "Consolati, gentil sorella e vieni al petto mio"
Scena quarta: Anchisex, allonanatosi a gran fatica dalla spiaggia ov'era approdato con la nipote, si nasconde dietro un cipresso e rimira gli atti dei due principi. Intona la sua prima aria solista, che comincia a stento e dura poco: "O qual vision graziosa".
Scena quinta: Anea, sentito in lontananza un rumore tra le fronde, si precipita verso Anchisex e lo trova tra i rami del cipresso. Dal furore il re guerriero intona un'aria di vendetta, violento 4/4 con grande uso di colorature e giochi pirotecnici dell'orchestra: "Deponi quel baston, vegliardo insano".
Atto terzo:
Scena prima: Frenulide ode da lontano le urla di spavento del vecchio zio. Afferrato il Priapopalladio sale la rupestre roccia e soccorre il vegliardo tenuto fermo da Annal. "No, fermate, fermate, o crudi, egli è parente a me", recitativo declamato "attutta fortia" (sic nel manoscritto vinegino). La giovane nel grande spavento lascia cadere, di nuovo, tunica e coturni.
Scena secondo: Anea è sconvolto da tanta femminile disperazione e cede ai suoi begli argomenti. "Siano sciolti i ceppi suoi", breve arioso in si diesis minore, con gioco a canone tra la pipetta (leitmotiv di cui sopra) e la voce solista.
Scena terza: Frenulide si sente sopraffatta da tanta grazia virile, e ringrazia accorata con una lungua aria di seduzione "Rispondi, rispondi al mio delirio", in 4/4, fa bemolle maggiore.
Scena quarta: Anea chiede ad Annal di portare Anchisex nel palagio affinché si ristori dal lungo viaggio. Folle di gelosia Annal, pur sapendo che deve ottemperare agli ordini del suo re, non riesce a trattenere un breve assolo di rimprovero: "Tu me da te dividi".
Scena quinta: primo duetto dell'opera, abbastanza breve e di scatenata struttura orchestrale, con svariati cambi di tempo e ritmica indiavolata. Le voci si spostano diametralmente in maniera opposta o simmetrica sul pentagramma. Sovracuti coronati obbligati sull'ultima battuta: in Mi per Anea, un Si per Frenulide. Fine della prima parte.
Seconda parte:
Atto Primo:
Scena prima: nel palagio di Coitàge. Annal e Anchisex fanno più ampia conoscenza. Anchisex intona un lungo recitativo narrativo in cui racconta della sua gioventù "Ah, sono lungi i bei dì", puntuato dalle esclamazioni meravigliate di Annal. Alla battuta 158 del detto recitativo troviamo di nuovo un'annotazione di pungo della Ungher "Quivi alzia la gonna per svellare le malitie".
Scena seconda: Duetto di Annal e Anchisex, poche battute non molto significanti.
Scena terza: Tanto che Annal intona, da par suo, un'altra aria di furore "Così presto, così presto...", in La diesis maggiore.
Scena quarta: Annal chiama le guardie (figuranti) affinché trascinino Anchisex in gattabuia. Anchisex grida "Diletta mia, perdon: lungi dal sacro oggetto in me tutto si sface". Il sacro oggetto è il Priapopalladio rimasto con Frenulide.
Atto Secondo:
Scena prima: nuovo duetto di Frenulide e Anea che da questo punto in poi non hanno più, inspiegabilmente e salvo mancanza delle fonti, un assolo. "Ti godo e ti miro, ti miro e ti godo", con piacevole ritmo "ad altalena".
Scena seconda: irrompe, furente, Annal. Per placarla il duetto s'estende ad un più movimentato terzetto, con medesima tonalità (Fa minore) ma cambio di tempo.
Scena terza: placata Annal spiega i motivi della sua visita sulla spiaggia di Coitàge. Ella è in cerca del Priapopalladio al fine di rendere pieno vigore a Anchisex, ch'ella a deciso di amare come suo sposo.
Scena quarta: duetto della negazione di Anea e Frenulide "No, il simulacro non avrai, ch'a noi troppo utile egli è", cui segue l'ennesima aria di furore di Annal "Infidi, maledetti amanti".
Scena quinta: in un atto di estremo fuore Annal si getta sul Priapopalladio, spronfondando "a peszie" (così nell'autografo) su una sua protuberanza molto aguzza. Ferita a morte Annal impreca alla sua insaziabile brama di... amore "O cruda voglia, o infausto desire".
Scena sesta: onde commemorare l'infausta fine della povera Annal, Anea e Frenulide si lasciano andare ad un ulteriore duetto, più mesto e in modo minore, ma pur sempre con ritornello propulsivo finale che ricalca, nella forma, la stretta degli altri duetti.
Atto terzo:
Scena prima: aria dal carcere di Anchisex, che ricorda le grazie di Annal con un sempre breve assolo "Oh, quant'eri bella, gioia della mia gioire, godere del mio go...": ecco l'unico verso dell'aria.
Scena seconda: arrivano, sempre avvinghiati, Anea e Frenulide a liberare Anchisex, che sprofonda ai piedi del sovrano, implorando il perdono. Egli infatti sente su di sé la colpa della triste fine di Annal.
Scena terza: davanti all'affranto Anchisex i due amanti duettano in un canto di lode per la principessa andata al regno delle ombre "Giovine, bella, scottante puledra".
Scena quarta: Anea decreta che farà innalzare alla sorella un tempio dell'Amore che sovrasterà come una grande torre "rigonvia in sua superna estremitate" il regno di Coitàge.
Scena quinta: dopo un ultimo, breve e scintillante duetto con Frenulide, in Fa maggiore e tempo di 1/1, il Coro di ninfe, venti e satiri s'affacenda sulla scena in un'ultima orgia di note e colori.
Per concludere questo mio primo intervento su questo blog, per il quale ringrazio sentitamente i due illustri suoi fondatori, non posso che citare un brano di una lettera dello stesso Culfranti al suo amico intimo, il baritono Giannotto Luchino del Tacerbello, che probabilmente fu il primo interprete della quinta Missa defunctorum:
"Quando ancora solazzato e biscazzando nelle turpitudini di bella gioventude, e voi ancor nel seno d'Abramo foste, io composi in quel di Vinegia una commedia eroica di sapore antico, tolta com'era dalle favole de' nostri aviti parenti. Ella trattava degli amori stupendi d'una principessa fuggiasca e d'un re pugnace, e dovetti componerla in pochi giorni, dacché il bel Teatro di quella cittade dopo avermi commandato un dramma sulle peripezie di Gonadimede, dovette piegare la fronte a una legge ingiusta e censoria, e riunziare ad esso in favore di più miti argomenti. E così musicai la Frenulide, e senz'immodestia, con grande mio successo, non che diletto. Anchora oggi la Frenulide viene data a' più grandi teatri, ma gia mai la risentirò e rimirerò come alla prima rappresentazione, cantata com'era da quattro grandi artisti per i quali appositamente scrissi arie a' solo e addue di bell'acqua ; cantavano infatti la Magrolina, il Saccaldi, l'austriaca Ungher e il Checchino. Bei dì di gioventù, come fuggiste, lasciando me misero nell'afflitta vecchiezza" etc.
venerdì 13 febbraio 2009
Come santificare una cantante poco stilizzata
Ci perviene da un nostro carissimo amico la notizia della pubblicazione della sua ultima fatica libraria e con essa notizia giunge anche la fatica libraria stessa dato che ci ha pure costretto di leggerla oltre a arrecarci il de cujus disturbo nel darci la notizia, eccheppalle.
Noi crediamo ma non solo crediamo perché è verità assoluta e acclerata da esempio di ogni sorte e ogni dove che quando si scrive di un cantante la prima cosa è vedere se sia stilizzato o no nell'emissione e qui faccio mio un principio immortale del Gabbietti per cui si cantux non stilefactus est in mulieri uterum squarciat et in masculo herniam italem causat, utraque parte sfrangit marones nondum aures audientium. Ora il nostro carissimo amico Saulle Bellacutella cui vogliamo tanto bene ma che consideriamo poco stilizzato nei suoi ragionamenti sull'ascolto dei cantanti pubblica questa che riteniamo di fatto e di principio un libretto con scarse carattersitiche di obiettivià ovvero completezza ovvero intelligenza di costrutto e che pur lodando l'impresa culturale ci pare del tutto privo di qualsivoglia utilità che si possa riscontrare vilipesa nell'abbattimento degli alberi che sono serviti a stamparlo su carta e rilegarlo. Però nondimeno tuttavia e conciosiacosacché speriamo rimanga almeno per i prossimi cinque secondi nostro amico di lunga data carissimo non potremo esimerci da notare che ad esempio la lunga cronologia della immeritata carriera di questa strana cantante sia del tutto incompleta, non per l'accertata scarsa ricerca del nostro adoratissimo amico che speriamo ci voglia sempre bene pur non capendoci nulla e essendo poco stilizzato anche nel modo di non capirci che poco, ma perché questa strana cantante dicevo prima che il mio stile dettato più da divina sapienza che non da normale e amena grammatica umana m'interrompesse, dicevo questa strana cantante ha davvero cantato qualsiasi cosa in virtù di quella cazzo di voce che si ritrovava e poteva cantare qualsiasi cosa, ma a schifio davvero e senza alcuna ultronea intersecazione del mio pensiero con qualche sinapsi poco stilizzata.
Lo dico avendo la consapevolezza di avere anche ascoltato la Asiné negli anni in cui non si esibiva in qualsiasi opera come una bella muccona che vada ad ogni pascolo o sentiero erto in cerca di margherite da brucare e indi per cui sicché si esibisce in suoni poco stilizzati ma quando, e nonostante sia quasi giunto ormai sulla soglia della quinta età, pur essendo ancora giovane ho avuto la fortuna di andare a sentire la Asiné nella fase del pieno fulgore di quella grande voce del cazzo che poteva cantare qualsiasi cosa non ancora proprio a schifio ma senza mai essere pienamente stilizzata.
Perché lo saprà il nostro o quanto mai caro ma poco stilizzato Bellacutella che l'Asiné benché di nome soprano relativo non si relativizzava mai veramente in qualcosa di storicamente valido dal punto di vista interpretativo perché rimaneva sempre e veramente l'Asiné in senso assoluto... Ora absolutus non dat relativum come dettò il Gabbietti in quel di Francina Marta alla nota Francine de La Fosse (che per inciso anche Bellacutella ma tutti voi dovreste ascoltare più spesso e a tal proposito leggete l'intervento di Giuditta Pasta infra) e perciò è di cogente cogenzia dire che l'Asiné sì avrà avuto una voce del cazzo ma poi era poco stilizzata, cosa senza la quale un cantante non può essere veramente relativo. Indi per cui pure il titolo di sto libro è una gran porcata.
domenica 1 febbraio 2009
Humanatio in tettas Soffighebonae et culum Scrotti
Ebbene come già ho citato il proverbio tanto caro al nostro amato Gabbietti: nomen omen et omen non legnum e che potremmo continuare con un bel quia omen heterus placet tettas femmine et omen unus paucus gaius placet alteram extremitatem masculi e così vediamo ora anche sui palcoscenici cantanti di ambi i sessi dotati di grande fascino per i rispettivi schieramenti e per le signore ma che non hanno la giusta vocalità stilizzata che non risiede né nelle protuberanze mammarie né in quelle dorsali se tanto mi è lecito e dunque è di logica specchiata dedurre che oggi importa soltanto la fattezza fisica per avere un ruolo piuttosto che quanto preconizza la buona arte del canto.
E comunque tale anonimo lettore dovrebbe palesarsi perché forse è Esso di quei cantanti che hanno il profilo scultoreo di un Baldowino Scrotti tenore impiccato e ululante in parti drammatiche come il Don Giacomo nell'opera omonima di Aldo Mozzarelari, parte ricordo cantata per la prima volta nel maggio del 1625 presso il Teatro Rivoluzionario di Prosciuttstaat in Nonvedentslacchia da un basso di grande tonnellaggio vocale, e dalla voce sontuosa quale Sibilo Strozzini... e insomma sarà forse lei anonimo e vile lettore uno di questi rapanti artistucoli plurigluteizzati che sembrano più mugolire per una dose eccessiva e oltremodo ultronea di pillola per la virilità che non cantare con perfetta emissione stilizzata.
Se così è come sembra ed è allora tu sei un bel gran fetenchione perché è inutile venire qui a pietire recensioni positive che noi gia mai rilascieremo nei confronto di cantatucoli incapaci di legare due note in zona medioalta Sol1-Sol7. Ecco espressa la nostra risposta.
Il soprano prima della Saklà - la grande stilizzata Pierona Meloni Campani
Oggi vorrei parlarvi tra le grandissime primedonne che hanno preceduto con le loro carriere la carriera dalla Cetriolini Saklà quelle che hanno avuto il merito di avere una vocalità tipicamente stilizzata ovvero capace di sostenere grandi frasi legate su tessiture acute e sapenti reggere il de cujus passaggio Sol1-Sol7 senza emettere note gutturali o far sentire i dolorissimi strappi uterini e contorsioni ovariche delle attuali urlatrici buone solo a ricoprire parti nei film muti con le attrici di stampo 1750 falisteggianti e bercianti. Cioè tuttavia parleroò nondimeno delle stilizzate che giacché non voglio tediarvi con il mio sommo sapere ve le elencherò tre.
Parto dalla prima grande stilizzata che già il Gabietti e prima di lui l'Elmo consideravano grandi stilizzate e sapienti belcantiste ben lontane dall'attuale decandenza del canto che è diventato più verso ginecologico che non grande arte che io conosco con somma sapienza, e cioè vi parlarò di Pierona Melini Campani, nata a Bolzano e forse anche morta ma non so perché noi non l'abbiamo mai incontrata qua sulla nostra nuvoletta con vista sui campi di papavero e erba maria. La Melini Campani giovanissimi studiava da soprano leggero con grandi capacità esecutorie sulle vette del pentagramma infatti leggo nell'Elmo che i suoi primi vocalizzi cominciavano dal La-3 ma non ne sono ben sicuro e insomma la Melini Campani poi cantò per tutta la carriera con grande voce da soprano drammatico perfettamente stilizzata sui ruoli preferiti essendo la Agnellora nel Cercarobe di Azzurri, la Scarognata nell'opera omonima di Sticazzelli e altre parti da soprano drammatico perfettamente stilizzato e dall'emissione stilizzata. Ma ascoltiamo dunque la grande Pierona nell'aria di Agnellora "D'amor sull'ali rosee" dove non c'è soluzione di continuità tra gli abissi iniziali dell'aria che comincia con un sol10 e la vetta finale sei ottave sotto, tutta senza che si senta un solo fremito uterino in quella voce perfettamente emessa e stilizzata. Per tacere poi anzi no per sottolineare il Do-5 attaccato in pianissimo e rafforzato fino a fare tremare i muri nella Ida di Azzurri, prodezza mai riuscita a nessuno e che solo la Pierona ha riuscito come solo riesce a una grande stilizza :,_: una grande artista indubbiamente che se non vi piace potreste pure sturarvi quelle orecchie ripiene di merda.
Gli ascolti
Pierona Meloni Campani
Aria di Agnellora dal Cercarobe di Azzurri "D'amor sull'ali rosee"
Aria della Ida di Azzurri "O cieli azzurri"
Aria dalla Scarognata di Sticazzelli "Suicidio"
Grandi concerti di canto: Francine de Lafosse a Roncalceci (1865)
Francine de Lafosse è stata senza dubbio una delle ultime grandi eredi del canto all’italiana con perfetta emissione stilizzata sul fiato che permetteva un’emissione ideale su tutta la gamma dal do -1 al do12 senza soluzione di continuità, e proiezione talmente perfetta che la voce pareva scendere direttamente dal lampadario più che salire dal palco. Ricordo ancora il suo Giulio, nell’Ammazzatina veronese ossia quanta idiozia si celi in famiglie nate da consaguinei di Bruttini, a Francina Marta, allora tempio dell’oracolo Gabbietti, affiancato dalla Rometta della Sferetti travolgere l’uditorio con suoni talmente avanti che parevano uscire dal teatro. Ovviamente alle orecchie degli ascoltatori moderni, avvezzi al canto di esofago delle varie Guancialassi e Madrid, queste paiono fole ma questo fu. Abituati poi agli strazi veristeggianti delle odierne cantatrici è poi impressionante sciacquarsi le orecchie con i suoni dall’emissione perfettamente stilizzata di una Francine de Lafosse la quale in virtù di tale stilizzata emissione riesce a conferire la giusta aulicità di accento ai personaggi che interpreta, altro che le vergognose interpreti di oggi che paiono tutte delle piccole Nedda!!!! Interessante poi notare come vengano riprese dalla De Lafosse le cadenze scritte appositamente per le sorelle Leccisio, cadenze da autentiche virtuose, che solo una cantante dalla perfetta emissione stilizzata in maschera può reggere, non certo le orrende cantatrici odierne più avvezze all’arte della gorgia che all’antica arte del canto.
Gli ascolti
Gran concerto di Canto di Madame Francine de Lafosse – Roncalceci 1865
Parte Prima
Dalla Zelmiramide di Roffini, l’aria di Arsacolm “O quante lagrime”
Dalla Fuliginosa di Roffini, la cavatina di Diavoletta “Nacqui all’affanno”
Dalla Legge di Bruttini, recitativo e aria di Cunzubalda “Deh proteggimi o Dio”
Parte Seconda
Cantata Pierina della Volta di Roffini
Brani dalle Porcherie d’un bavoso di Roffini
Bis: Dall’Algerina a Lampedusa, l’aria di Isjard’ha “Pensa alla Patria”
Avviso di servizio: avete già esploso i server dove avevamo inseriti i brani creando un danno cosmico tale che dovremo aspettare qualche mese per poterli reinserire... se proprio non potete aspettare, come d'altronde pensiamo data l'assuefazione che provocata il VCS (Vero Canto Stilizzato), potete contattarci in privato.