Dopo aver dato, nella prima puntato, qualche ragguaglio sulla vita tormentata della fondamentale compositrice settecentesca Gustava Dandolo in Culfranti, eccomi pronto a farvi parte del mio sapere profondo da vero musicologo enunciandovi le fonti con le quali s'è ricostruita la partitura della cantata "La Topa e il Sacro", data per la prima volta alle scene a Parma nel 1765.
Innanzittutto facciamo un po' d'ordine riguardo alle edizioni antiche e moderne: parti dello spartito, e in particolar modo le arie della protagonista iperfemminile vennero stampate sin dal 1801 in quel di Roma (provincia di Sampietro) dalla tipografia inglese Moot 'n Day, con la nota "ad uso delle savie donzelle", e più sotto, al frontespizio "edizione di arie della marchesa Culfranti dagli originali". Di quali "originali" si parla questo è difficile da stabilirsi, giacché molte soluzioni armoniche (v.g.: progressione SI LA DO nella prima aria della Topa) non si ritrovano negli autografi recentemente riscoperti (vd infra). E' probabile che la dicitura "dagli originali" sia fallace, oppure che l'anonimo editore abbia deciso di modificare l'assetto armonico dei brani. In ordine cronologico segue, in un florilegio di arie scritte per la famiglia Degli Oceàni stampata nel 1827 per i tipi delle Dimenticanze di Frecate, un'aria del Sacro "Son più forte, son più bello" indicata come "tratta della pars secunda" senza specificarne ulteriormente la collocazione all'interno della cantata. Per trovare successive fonti a stampa si deve fare un salto di ben 80 anni: del 1907 infatti è la prima ricostruzione frammentaria dell'opera, a cura di Gianciotto Missa Drizza, stampata "per conto della famiglia Dandolo" a Vinegia. In realtà non esiste una famiglia "Dandolo" direttamente legata alla Culfranti, ma si suppone che sotto questo nome, nella Vinegia del primo '900 si nascondesse un'associazione di mutua assistenza rivolta a chi, in periodi così bui, si sottoponesse, come la Dandolo, al cambio di persona. Nella breve e oscura prefazione, Missa Drizza elenca il materiale consultato al fine di restaurare l'integrità de "la Topa". Vi riporto il paragrafo nella sua interezza:
"Onde ricucire pezzo per pezzo, brano a brano, la cantanta che quivi le S.V. ritroveranno per loro grande godimento, dovetti cercare e ricercare ancora nelle Regie Biblioteche di mezza Europa, e laonde le fonti mi dicessero che la Topa fosse stata data quivi mi recai a verificarne la sussistenza. E lungo fu il mio peregrinare di scaffale in scaffale, e di scaffale in scaffale, in Topa in Topa, riuscì a cavare bastevoli tracce da concludere il presente lavoro. Di particolare aiuto mi furono i mss seguenti: - Il codex Frocini della Biblioteca Checchese a Riga - Il codex Prurigi della Bibliothèque Nationale de France, in Lutezia - Il codex Missionari custodito presso l'Archivio privato del Conte Semela D'Aigratie a Culotta.
Infine trovai di somma grazia alcune arie d'un'opera d'un genovese chiamato Ferrari, e poiché la cantata così conclusa pareva poco completa, ve l'aggiunsi ad arbitrio mio, pur certo che vi sarebbe stato gradito".
Dalle parole suddette si evince chiaramente come l'abitudine di credere che l'opera di Ferrari "La vulva e il coccige" sia il modello della cantata della Dandolo nasce da questa edizione contaminata. Ma a questo proposito consacrerò un futuro mio al solito illuminante saggio.
I tre manoscritti elencati dal vigoroso Missa Drizza non esistono più, giacché guerre e latrocinii li hanno fatti sparire: in particolar modo colpisce la triste sorte dell'Archivio privato del Conte Semela D'aigratia, smembrato dagli ultimi eredi del lignaggio e probabilmente finito in mani di innumerevoli privati.
Ma in fondo poco importa, giacché nel 1950, presso la Biblioteca principesca degli Oceàni a Parma, nel cartonnage di una serie di volumi ottocenteschi sull'Arte dell'uccellagione a mano libera, sono state ritrovate ben 50 carte di pugno della Dandolo, contetenti la Topa in quasi tutta la sua superba completezza. Le pagine però erano in feroce disordine, e poiché l'edizione del 1907 sembrava del tutto inaffidabile circa la ricostruzione della sinossi, e data l'assoluta astratezza dell'argomento, gli studiosi non seppero pubblicare un'edizione completa della cantata, ma solo le singole arie in ordine sparso, in un volume, stampato nel 1955 a Croctone nella provincia di Islamabad.
Soltanto nel 1978, con il ritrovamento del tutto fortuito, del libretto originale della Topa (vd immagine allegata), in un codice miscellaneo appartenuto a Felistrozzo degli Ozeàni e sottoscritto dalla ben più celebre cantatrice Marfesina Puledrotti in Fuga, amante di Felistrozzo e grandiosa prima interprete della Fanciulla Maniscala di Franz de Pallen, si poté stabilire un'edizione completa e critica del capolavoro della Dandolo. E questa venne esarata direttamente dal Nume Gabbietti per i tipi della casa editrice Oscura di Mediolano sulla Martesana.
Innanzittutto facciamo un po' d'ordine riguardo alle edizioni antiche e moderne: parti dello spartito, e in particolar modo le arie della protagonista iperfemminile vennero stampate sin dal 1801 in quel di Roma (provincia di Sampietro) dalla tipografia inglese Moot 'n Day, con la nota "ad uso delle savie donzelle", e più sotto, al frontespizio "edizione di arie della marchesa Culfranti dagli originali". Di quali "originali" si parla questo è difficile da stabilirsi, giacché molte soluzioni armoniche (v.g.: progressione SI LA DO nella prima aria della Topa) non si ritrovano negli autografi recentemente riscoperti (vd infra). E' probabile che la dicitura "dagli originali" sia fallace, oppure che l'anonimo editore abbia deciso di modificare l'assetto armonico dei brani. In ordine cronologico segue, in un florilegio di arie scritte per la famiglia Degli Oceàni stampata nel 1827 per i tipi delle Dimenticanze di Frecate, un'aria del Sacro "Son più forte, son più bello" indicata come "tratta della pars secunda" senza specificarne ulteriormente la collocazione all'interno della cantata. Per trovare successive fonti a stampa si deve fare un salto di ben 80 anni: del 1907 infatti è la prima ricostruzione frammentaria dell'opera, a cura di Gianciotto Missa Drizza, stampata "per conto della famiglia Dandolo" a Vinegia. In realtà non esiste una famiglia "Dandolo" direttamente legata alla Culfranti, ma si suppone che sotto questo nome, nella Vinegia del primo '900 si nascondesse un'associazione di mutua assistenza rivolta a chi, in periodi così bui, si sottoponesse, come la Dandolo, al cambio di persona. Nella breve e oscura prefazione, Missa Drizza elenca il materiale consultato al fine di restaurare l'integrità de "la Topa". Vi riporto il paragrafo nella sua interezza:
"Onde ricucire pezzo per pezzo, brano a brano, la cantanta che quivi le S.V. ritroveranno per loro grande godimento, dovetti cercare e ricercare ancora nelle Regie Biblioteche di mezza Europa, e laonde le fonti mi dicessero che la Topa fosse stata data quivi mi recai a verificarne la sussistenza. E lungo fu il mio peregrinare di scaffale in scaffale, e di scaffale in scaffale, in Topa in Topa, riuscì a cavare bastevoli tracce da concludere il presente lavoro. Di particolare aiuto mi furono i mss seguenti: - Il codex Frocini della Biblioteca Checchese a Riga - Il codex Prurigi della Bibliothèque Nationale de France, in Lutezia - Il codex Missionari custodito presso l'Archivio privato del Conte Semela D'Aigratie a Culotta.
Infine trovai di somma grazia alcune arie d'un'opera d'un genovese chiamato Ferrari, e poiché la cantata così conclusa pareva poco completa, ve l'aggiunsi ad arbitrio mio, pur certo che vi sarebbe stato gradito".
Dalle parole suddette si evince chiaramente come l'abitudine di credere che l'opera di Ferrari "La vulva e il coccige" sia il modello della cantata della Dandolo nasce da questa edizione contaminata. Ma a questo proposito consacrerò un futuro mio al solito illuminante saggio.
I tre manoscritti elencati dal vigoroso Missa Drizza non esistono più, giacché guerre e latrocinii li hanno fatti sparire: in particolar modo colpisce la triste sorte dell'Archivio privato del Conte Semela D'aigratia, smembrato dagli ultimi eredi del lignaggio e probabilmente finito in mani di innumerevoli privati.
Ma in fondo poco importa, giacché nel 1950, presso la Biblioteca principesca degli Oceàni a Parma, nel cartonnage di una serie di volumi ottocenteschi sull'Arte dell'uccellagione a mano libera, sono state ritrovate ben 50 carte di pugno della Dandolo, contetenti la Topa in quasi tutta la sua superba completezza. Le pagine però erano in feroce disordine, e poiché l'edizione del 1907 sembrava del tutto inaffidabile circa la ricostruzione della sinossi, e data l'assoluta astratezza dell'argomento, gli studiosi non seppero pubblicare un'edizione completa della cantata, ma solo le singole arie in ordine sparso, in un volume, stampato nel 1955 a Croctone nella provincia di Islamabad.
Soltanto nel 1978, con il ritrovamento del tutto fortuito, del libretto originale della Topa (vd immagine allegata), in un codice miscellaneo appartenuto a Felistrozzo degli Ozeàni e sottoscritto dalla ben più celebre cantatrice Marfesina Puledrotti in Fuga, amante di Felistrozzo e grandiosa prima interprete della Fanciulla Maniscala di Franz de Pallen, si poté stabilire un'edizione completa e critica del capolavoro della Dandolo. E questa venne esarata direttamente dal Nume Gabbietti per i tipi della casa editrice Oscura di Mediolano sulla Martesana.