giovedì 16 settembre 2010
I Fioretti di Santa Magdi - prima sequenza
mercoledì 8 settembre 2010
Mezze seghe a chi? Arcangela Pucci
Come me lo ha richiesto il grande nostro estimatore, ma non è nemmeno farci troppa grazia essere nostri estimatori giacché la stima è cosa naturale ove apportata alla nostra grandissima levatura di persone e di cognoscitori dell'arte del canto, cosa che tra tutte maxume è colenda tra le scienze e senza dubbio alcuno unica finalità d'una vita ben spesa, sicché caro Natale anche se non sa infilare due subiuntivi ed è privo, al contrario del sottoscritto medesimo, di una consecutio modale e temporale degna dei più grandissimi scrittori d'ogni favella, ebbene sappi lei che nonostante ciò e forse anche a detrimento lei ci sta molto simpatico, e non ce lo staresse di più se sarebbe più colto al pari di me e della divina Pasta.
Dunque per fare un grande piacere a Natale, che senz'altro ci sarà grato, ecco il ritorno di una rubrica che molto piacque a tutti e che ora ripropongo, e non mi è difficile perché la mia conoscenza delle cantanti d'una volta è tale che pur senza averne sentito la maggior parte in teatro dato che per chissà quale strana ragione, ma forse perché sono ancora un po' giovane, ho uno strano gap, come dicono i sassoni, tra l'ascolto delle oltremondane dive del 'tecento e le divine De Lafosse (sia sempre lodata) e Sferetti, ma comunque vi parlerò sulla scorta delle registrazioni in nostro possesso, e le possiedo tutte, ma proprio tutte in tutti i formati audiotelevisivi e oltre possibili e potenziali.
E vi parlerò dunque di Arcangela Pucci, cantante singolare soprattutto per il fatto che a più di x-vanta anni dimostra meno anni di quando aveva vent'anni e quasi quasi è più appetibile ora che non illa die quando debuttò nel lontano 1859 (o forse 1959, ma importa assolutissimamente poco come disse quel borgognone d'un guascone caro, e raro amico, Diliberto Herrera, hidalgo giovialissimo) nella Zigarata di Intiggini, nel ruolo della prezzemolina Titì. Le cronache parlano d'una giovane non troppo aitante ma dalla voce alta nella maschera (e le maschere ancora se ne ricordono come faceva risuonare la sua voce dentro di loro quasi emettendo i suoni all'altezza delle loro rocche petrose e pareti occipitali tanto da costringerli poi a doversi far fare una volgarmente detta pera di aspirina) che poi avrebbe trionfato, sempre in ascensore, in opere di stampo falsista come la Vecchiaccia Orientale, dello stesso Intiggini (seguito mal riuscito della Fanciulla Maniscalca del vero stilizzato Franz de Pallen, grande cavallo di battaglia, lo rammento, della superna Marfesina Puledrotti), o come la Signora Mosca Del Burro, sempre del porcarese Intiggini, ma anche il melodrammone in stile alberghiero Hotel O di Azzurri, nella parte da grande tragediana di Te-sé-Mona, grande lavoratrice tailandese fatta morta per strangolamento dal suo prosseneta per il suo troppo amore del cassio.
Ma la Pucci s'esibì in ben altre opere di ben altra stilizzazione, opere da vero VSD, con tutti i sacri clismi della STICA, benché non arrivò mai ad un vero e proprio CASTA DIVA forse più per esagerata morigeratezza che non per non reali capacità. Ricordo che la Pucci fu invitata spesso in teatri di minor conto quale il Teatro Metropolitano della Nuova Avana (ove fece uno Sforzo del Mastino notevole con il Mastino tutto cosce e nervi di Ispanico Vivaldi), ma anche il meno catacombale Teatro Filobusio di Nuova Yorca (attuale Obamalandia, ex Buscionia, ecc.)
Ebbe anche grande successo nell'Estremo estremo (giacché oriente e occidente se si fa il giro si toccano, e dato che la terra è tonda, beh si fa il giro e credo sia questo esempio della mia impenetrabile logica che tutta sottende alla mia perspicua e perspicace sintassi), ad esempio a Tokyo, nella Terra dei Flashanti. E lì cantò un ottimo Rigatino del quale si serba una ripresa audio a metà strada tra il video e la minestra di ceci.
Ma aveva proprio una bellissima voce la Pucci, con tanto di passaggio Do1-Do7 alto in maschera e sarebbe stato bello se avrebbe cantato essa anche parti maggiormente stilizzate, specie nelle opere di tenore frizzante, penso ad esempio alla parte di Fuffauffa, ancella intraprendente della largheggiante Inessa nell'azione comica in vari atti Inessa d'Arezzo di Unnebone Menirezzo, oppure la fatale, ma frizzante, Ditina nel grande e pruriginioso affresco popolare ferrarese (un po' polpettone a dire la veritate) intitolato Alte bisogne e bassi grattamenti del ferrarese Remo Ròidi, che s'ispirò naturalmente a quel capolavoro di introspezione inglese che va sotto il titolo di The itching hole del maltese Mirò Delculle Prude. La Ditina fu cavallo di battagllia, lo rammento e me ne sarete grati, di Teresina Onesti Masfigati, che forse, quasi quasi, e senza alcuna presunta umiltà da parte nostra, cioè di noi Donzelletta, potrebbe essere sovrapposta, quantum ad carrieram, alla oggi piacente e plasticissima Arcangela, che vediamo qui ritratta in una foto recentissima, durante un concorso di canto in Ciornia durante il quale la Pucci s'è prestata in qualità di giurista.
Un saluto alla divina Pasta, e tanta compassione per voi altri.
Gli ascolti:
Hotel O, Azzurri: gran scena di Te-se'-Mona
La Signora Mosca del Burro, Intiggini: Un bel dì vedremo, Tu tu tu tu (altrimenti detta aria del Clacson rotto).
La Rigida, Azzurri: cabaletta del gioire.
Rigatino, Azzurri: aria di Milza.
mercoledì 1 settembre 2010
C'è posta per la Pasta, vol. 91 - Carteggio con Bruttini sulla "Legge"
A grande richiesta – davvero ci avete sommersi di amabili, per quanto orchioclastiche, petizioni a riguardo – ecco una nuova puntata, novantunesima per essere precisi, della fortunata collana d'articoli ove la sempre amabile e celeste Giuditta, dea di queste arene, mi autorizza a pubblicare perle dal bellissimo forziere del suo archivio personale.
Dato che ho parlato recentemente, con un sapere che mi sembra più circonfuso di baleni ultramondani che da guizzi della povera mente mia, della genesi della Legge del maestro Perdenzio Bruttini, ecco un breve scambio epistolare intercorso tra detto musico e la Nostra adoratissima, sempre stilizzata maestra del ben pensare e cantar meglio. Le lettere datano di pochi giorni dopo il mandato rilasciato dal ciambellano di Naposilveone al caro maestro, che allora si trovava presso Cremona, alloggiato presso una delle sue molteplici amanti.
Inizia dunque il Bruttini, con una lettera volta a coinvolgere la Diva nell'estemporaneo progetto:
Cremona, addì Vulcanodì ottavo del mense di septembre mille'nto'trenta et uno,
Perdenzio Bruttini alla soavissima cantrice Iudita Pasta, della Cappella de' palatini Conti Semeladai e voce soprana a' solo de' regi teatri di Parmareggio, il saluto e la costanza d'ogni affetto, in rimembranza ognor fedele delle tante libagioni e proteste d'amor cortese che cotanta beltà d'artista offerse a suo um.issimo servo à la corte dogale di Felistrozzo degli Oceani.
E' caso inenarrabile, mia gentilissima dama, che, quasi mentre disperavo di tornare un dì all'Ascenzore, onde temevo che già fosse colmo il carico suo di altri musici assai valenti, m'arrivò ratto, quale augello in volo, siffatto messaggio del magno Naposilvione, ove rogato m'era scrivere per suo genetliaco e aggradimento un drama di poderosa fattura acché tutto il popolo di Mediolano unito in un fiato solo potesse meglio celebrar sua gloria estrema.
Donde m'accostai al cembalo e notturnamente, quasi preso da ardor che dan gl'Iddii, mi misi a componere e componetti tanto che al risveglio il Sol nascente ritrovò Bruttini sommerso da catasta di carte. Benedette queste carte, Iudit colendissima! E avendo voi ammente le componetti, voi sola. Orvia, ecco, vi mando con queste mie un saggio del mio penare. Che lo leggiate e, se v'è grato, lo cantiate a maggior gloria del silvestre eroe in quel dell'asceso teatro, altro non saprei dimandarvi, né sperare.
La Pasta, che allora si trovava in ammollo sulle rive dell'Eufrate, affluente della Martesana, prer la precisione a Gallo-sull-Unghia (oggi Gallarate), lesse, cantò, e rispose:
Gallo all'Unghia – addì Eremetedie undecimo del mese di settembre mille'nto trenta uno
Giuditta Pasta, superna cantrice della Cappella imperiale, maestra musica della Cappella de' conti Palatini Semeladai, maestra musica della Cappella de' marchesi Gratie, nonché soprana a' solo a' teatri regi di Parmareggio, della basilica cattedrale di Mediolano e della basilica gentilizia de' nobili viri Felistrozzo e Nasello degli Oceàni, al musico Perdenzio Bruttini,
il saluto e l'amabile benevolenza che si dee a chi di misericordia è oggetto, e di pietade.
Sono davvero sorpresa, mio caro, che voi m'invitiate a tali manifestazioni di bassa piaggeria ne' confronti di uomini più avvezzi al malcostume delle foreste, che non alle gentilezze cui io, artista del grado in cui mi pregio, sono stata diuturnamente adusa.
Ciònondimeno assai mi piacque il vostro ardire, e quasi vi ravvedo una naturale inclinazione vostra a carpire i secreti della mia volontà. Vedete dunque quanto merto si face, nel volgo, alle sorelle Lecisio per essersi da tempo svelate prone a tanto sire? E a tanto giunsero per essersi talora prodotte a' scene da lui condotte. Ebbene, pur sia. Giuditta canterà per desso ottentotto e tanto bene che forse cangerà pensieri, e tosto tornerà dov'egli s'en venne. O santo ardor di patria, quanto mi scuoti!
Ma caro davvero il tuono della cavatina che voi mi mandaste non conviensi alla mia voce. Il mio istromento meglio s'accomoda di diverse corde, come il la bemol a modo minore. Suvvia, poco vi chiedo... Ricomponete dessa cavatina, e vostra mi farò.
Bruttini ricevette il dispaccio quando già aveva mandato le bozze dell'opera completa presso lo stampatore, e precisamente mentre tatuava un'aria di bell'effetto, cominciante con “Il core involami”, sulla prosperosa natica destra della sua giunonica amante. Trovossi poi detta amante appropinquata anche al maestro Petezetti, che, letta l'iscrizione, in una sera di voluttà e sciampagna in quel di Bergamo, nell'allor augusta provincia di Orio al Serio, ne trasse ispirazione per l'aria finale, “Al dolce guidami”, nel melodramma marittimo “Ah! La balena!!” di qualche anno successivo. Per ironia del fato, fu la stessa Pasta a ricoprire il ruolo della Balena.
Così Bruttini lasciò lì l'anonima amata, e corse a fermare il torchio dello stampatore, non prima d'aver riscritto la cavatina “Casta diva” nella tonalità espressa dalla sacerrima Artista.
Rispose allora la Pasta, in viaggio per Mediolano, questo breve e confidenziale biglietto
Perdy carissimo,
che bella cosa facesti, rifacendo l'aria che facesti per me. La farò, ne fo promessa.
Ma non mi chiedere di cantare “Casta diva”, come so che vorresti, alla sindichessa Sossorci, che mi parrebbe dire bello a un mostro.
Chi canterà Cunzubalda? Voce mi giunse che sarebbe una delle due Lecisio? E soffrirei io, Giuditta Pasta, vedermi negletta per una volgare mign...
Qui s'interrompe il biglietto... forse la carrozza prese una buca, e la penna volò via dalle estremità delicate della nostra Giuditta.
Ecco l'ultimo biglietto di Bruttini, che faticò molto per trovare un'altra interprete del ruolo di Cunzubalda:
Giuditta divina,
Grande pena mi fu trovare una nuova Cunzubalda. Vi è pur nella provincia d'Arcore una non più giovanissima pulzella, di pelo rosso e coscia valiente, che dice discendere dalla stessa tribù dei Brambbili e risponde al nome di Trionforia. Ha voce discreta, che spesse volte fa risonare in strani gazebi da lei stessa approntati.
Mai sarà bella quanto voi siete, ma nondimeno è pronta a servirvi e cantar con voi.
Reverente m'inchino, vostro Perdenzio.
lunedì 30 agosto 2010
L'antro di Gigì - La LEGGE di Bruttini: genesi di un'opera
sabato 28 agosto 2010
I dadini di Brodino - Rocky il Copritore, nuovo DVD
martedì 20 luglio 2010
La Ida di Azzurri - in diretta dai Bagni di Monsummano (e ci si potrebbe anche affogare, in codesti bagni)
Quanti di voi haveranno superato la prova?
Dicevo dunque nella mia forbita e castigatissima prosa adusa a tutti i clismi del cursus e del honos, insomma, VPS (vera prosa stilizzata) in veriveritate, che v'ho fatto un bel tiro a tutti voi, illecebri cerebri, e in particolare a quelli di Eleuterio che tanto ci consunse le onrate sfere olim (da non confondersi con le lampadine Osram) e quel sciocchino di Natale che scrive senza senso veruno di consecutio temporum e dovesse per questo imparare acciocché scriverebbe meglio.
Tale è l'ischerzo, e siffatto che per mesi gli astilizzati lettori nostri, che tanto fanno piangere allagrime di sangue la beata sempre stilizzata Pasta, e a me scoppiettare gli ubertosi capsieri (videlicet testicula, videlicet nella lingua lesa di ser Iacopone, le coglia), non avranno potuto leggere (il soggetto è alla prima riga di questo istesimo paragrafo) articoli, lamentandosene molto e contriti di core chiedendosi come mai e perché e donde e per qual ventura e come e quando noi si sarebbe elletto che non scrivassimo piue e spandere nostro sommo sapere ai fini della redenzione loro (sempre il de cujus soggetto del rigo 1).
Ma quanto s'ingannasserebbero costoro è cosa palese ed evidente all'occhio di noi celicoli giacché loro hanno presunto vieppiù troppissimo et molto della loro fallace possanza intellectiva, già che, infimi quali essi siano e sono giamai avrebbero essi potuto leggerli, condetti articoli, dacché noi si ellesse di renderli visibili solo a chi veracemente e in veriveritate plena et efficace potesse fregiarsi dell'onrato titulo di veri stilizzati, rifuggenti cioè da ogni assunzione lasciva di LSD e sempre attenti a non aver mai l'orecchio ottuso da merda veruna. E cioè noi soli potemmo leggerli, per nostra somma gioja, giacché non è cadere in peccato d'Onan godere di noi stessi se noi stessi soli possiamo, gaudio sommando a gaudio, godere di nostra gaudente stilizzatezza a pro nostro e ischerno di voi che tanto isprezzate il vero, seguitando invero a prezzare il falso, conciosiacosaché vi sia stati svelati un dì i tesori d'una De La Fosse a disdoro d'una Gamelancia o di una Meloni Campani che, ohi sommo orrore, l'illesa e virginea critica lsd-iana Livia Avvocato osò riporre sul piano medesmo d'una orrenda latrante falsista quale tale Carmen Economicosi, alla quale lanciamo imperituro vituperio in nome di Giuseppa Gradonnona e del suo sacrato avello ricettacolo d'ogni gaudizia.
Ben lo sa il Bellacutella, che sentì lo colpo tale, che disperò perdono (cito sempre il sommo Gabbietti e la sua ben nota Tragedia, ultimo de' libercoli suoi, il primo essendo quello sul Melodramma in cilindro, per i tipi della Frasconi, Anno di Giubileo 1500).
Con afflizione e doppia piroetta carpiata, vostro leso e divoto e humìlissimo servo Donzelletta.
Ps: baciatemi le piante, e non parlo delle quae supra cucurbitacee.