Con grande mia afflizione, perché questa è la parola giusta, credetemi (e la Pasta non mente!) mi trovo costretta a dovere scrivere di questa rappresentazione della celebre opera di Azzurri denominata "La Ida", e data per la prima volta alle scene a Catanzaro in Egitto, o quasi, nel 1671 per l'inaugurazione del traforo nell'alta montagna che s'erge e occupa gran parte della cosiddetta pianura Padana, ai confini estremi dell'Africa merdionale.
Finita la lezione di storia spicciola del melodramma, passiamo alla vera tragedia. E cioè questa cosa che senza pudore alcuno ha pervaso le mie celesti stanze quando, oh quanto mai incauta, le mie dita inanellate di perle di nube hanno premuto il pulsante ON della radio e hanno girato il pomello fino a sintonizzarla su RAGLIO3, canale dove si espande ormai da anni il fiele dello LSD più spurio.
Comincia male, questa Ida, trasmessa in diretta dai Bagni di Monsummano-a-Bagno, in provincia di Via-a-Reggio (anticamente Strada-a-Parma). Il tenore lirico leggero che tutti ci aspetteremmo per cantare la parte deliziosamente femminea di Rate-al-Mes (è egli un gigolò che riceve paga mensile dal Re di Calabria, in guerra con quello di Puglia, non scordiamocelo, e quindi richiede sempre emissione stilizzata!), è qui sostituito da un brutale e fremebondo Pierferdinando Smochingaro dal quale non siamo riusciti a sentire emissioni che fuoriscissero dall'inamidata collottola per tutta l'opera.
Ma il dramma, quello vero, giacché la Ida è piacevole vaudeville, viene a sentire i latrati e le fissità di tale Carmen Economicosi, reginetta, a suo dire e nostra constatazione, di Fesse-Bouc (dal francese, "natica-caprone", insomma, un sito che parla da sé, ne converrete), e che viene difesa a spada tratta e bile appena trattenuta da gentucola come il Bellacutella o altri seguaci che in buona e senziente ragione abbiamo deciso di bannare ad vitam, perché davvero, ragazzi, non si può farla fuori dal vasino e poi pretendere che la maestra (cioè io, modestamente) raccatti l'espleto come una vile inserviente (chiamate la Mona Monda caso mai).
Ma l'Economicosi è ben altro espleto, davvero. Vorrei solo analizzare l'aria celebre dei Cieli azzurri. Qui Azzurri davvero ci mise l'anima perché in fondo parlava di sé, del suo cognome, della sua famiglia... Della sua patria, e infatti la romanza vera e propria comincia con "O patria mia", subito dopo la citazione del cognome... Non so se avete mai notato, ma temo di no. Ecco, l'Economicosi fa esattamente il contrario di quanto si dovrebbe fare in questa aria, tutta giocata sul sentimento e soprattutto sulla stilizzatezza (quella sempre!!). No, guai... La nostra sbuffa, la nostra starnazza, la nostra a momenti sviene quando deve affrontare l'impervia salita sul passaggio Sol1-Sol7 laddove la Meloni Campani sembrava sorridesse per troppa facilità, finendo la corsa con un Sol7 in pianissimo librato a mezz'aria come la piuma di un cigno. Ma del cigno l'Economicosi ha solo la voce sgraziata e altro non saprei dire senon che mi ha ferito le orecchie che credevo ormai parate ad ogni insulto.
Tacerò del fatto che la nota critica Livia Avvocato ha osato tessere gli stessi elogi nei confronti di questa falsista e della citata Meloni! Proprio le stesse parole, non riesco a capacitarmene!! Ditemi che sogno, ditemi che non sono desta, ditemi che in un attimo di abbagliamento dell'ego sovrumano il mio occhio divino s'è ottenebrato e ha letto male. Ma no, lo leggo qui, proprio le stesse, identiche parole spese a favore della Economicosi, regina di Fesse-Bouc e della Meloni. Ma ditemi voi, menti prave eppur, forse, redimibili, questa è lode alla prima od insulto alla seconda?
Arriva la Mneris della veterana Casotta... Ha più anni di me, credo, ma almeno sa ancora fare due suoni vagamente stilizzati.
Basta, mi sono stancata di scrivere di queste fregnacce, avrei anche altro da fare... Come ad esempio strigliare il sommo musicologo Del Praz affinché castighi la cattiva informazione che nel giro di un giorno farà della Sbattoli l'interpreti di riferimento della Legge di Bruttini. Perché questo sarà, o forse è già, e allora sarà vano per voi vestire panni di fustagno nero e lacerarvi il viso con le vostre stesse unghie sporche della terra di cui vi sarete cosparsi il capo e del sangue che zampillerà dalle lunghe flagellazioni. Ormai la Legge si canterà solo così, sappiatelo, e voi... Voi... Voi eravati tutti lì, e non l'avete tramortita con lanci di pietre e/o pomidori decotti. O mia divina me, mi sento mancare. E per voi piango, oh quanto piango per voi. Ma è tardi, sì è tardi. Più per voi che per me, che sono sempre stilizzata e son, qual Zelmiramide, regina ed amante. Tié.
Sempre Sua, di se stessa, Giuditta.
Nell'illustrazione: i Bagni di Monsummano-a-Bagno.